Quante carezze al presidente
Ruggeri, uomo tutto d'un pezzo

C'è quel dolore che aspetta in cima alla salita, nella villa seicentesca che sembra uscita dalle pagine della Brianza gaddiana e che negli ultimi cinque anni è stata la sua conchiglia vuota. La gente ci arriva in auto, qualcuno s'inerpica a piedi.

C'è quel dolore che aspetta in cima alla salita, nella villa seicentesca che sembra uscita dalle pagine della Brianza gaddiana e che negli ultimi cinque anni è stata la sua conchiglia vuota. La gente ci arriva in auto, qualcuno s'inerpica a piedi, molti s'intimoriscono e chiedono «si può entrare?» quando trovano spalancato il cancello di questa dimora nobiliare, la casa di Ivan Ruggeri, lui così alla buona e incline al dialetto, venuto su tra le cascine e le prime fabbriche di Telgate.

Scampanìo domenicale che echeggia da Città Alta, i gradoni della curva sud all'orizzonte, l'ex atalantino Rolando Bianchi che alle 10,30 del mattino è già qui a far visita e a dire che «lui per me era come un padre». C'è Carlo Valenti indaffarato con la piantina della chiesa, bisogna approntare la logistica del funerale e quello che per una vita è stato il gran cerimoniere del Comunale non può esimersi.

È un giorno di nubi basse e malinconie, poche sciarpe nerazzurre al collo e voci rotte. Come quella di Emiliano Mondonico: «Mi ha colpito il coraggio e la forza della moglie e dei figli. È pazzesco che cosa si possa fare quando vuoi veramente bene a una persona».

C'è questo senso di vuoto, ma anche di liberazione, e poi l'ammirazione per uno che per una vita non ha mai smesso di lottare, solo. Prima contro lo riteneva inadeguato per l'Atalanta, poi contro la malattia. «Mio padre mi ha insegnato molto - confida il figlio Alessandro -, prima di essere colpito dal male, ma tantissimo anche dopo. Mi ha insegnato a non arrendermi e quello che gli è successo mi ha fatto capire che molte cose sono stupidate, se paragonate a quello che deve provare uno che ogni giorno si trova a lottare contro la morte».

«Sembrava un burbero, ma aveva il cuore d'oro - soffia Mino Favini, totem di Zingonia -, la scontrosità era in superficie, perché fondamentalmente era buono e generoso». La «pecca» di Ruggeri è stata quella di non sapersi uniformare a un ambiente di mosse studiate e di peli da lisciare: ai tifosi, agli esperti, ai giocatori. «Onesto, non si piegava, ti diceva in faccia ciò che pensava», scolpisce l'ex nerazzurro Fabio Gallo all'uscita della camera ardente.

Leggi le quattro pagine dedicate a Ruggeri su L'Eco di lunedì 8 aprile

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