«Commossi dalla sensibilità del militare»
Che ha raccontato il viaggio delle salme

«È stato un bel pensiero, siamo contenti di quello che ha scritto e lo vogliamo ringraziare di tanta sensibilità».

«Non riusciamo però ancora a capire perché, tra i tanti defunti che ha accompagnato, sia riuscito a ricordare solo il cognome di mio marito», è incuriosita la signora Anna. Forse perché Guerra è facile da tenere a mente, soprattutto per un soldato, il caporalmaggiore scelto Tomaso Chessa, sassarese di 42 anni, in servizio al Reggimento supporto tattico di Solbiate Olona, provincia di Varese.

Era lui alla guida di uno dei camion della colonna militare che ha preso le mosse dal cimitero di Bergamo un mese dopo quella immortalata nell’immagine che più di ogni altra ha fatto capire quanto si moriva in Bergamasca, ma soprattutto come: soli, senza l’ultima carezza dei familiari, privi pure della dignità di un corteo funebre, i feretri caricati sui cassoni e trasportati in gruppo fuori provincia per non intasare il forno crematorio del cimitero cittadino incapace di reggere al ritmo dei decessi, con gli uomini dell’Esercito nella versione moderna dei monatti manzoniani.

La sensibilità del caporale

Gelo, c’è in quella splendida fotografia. Come se da un certo punto in poi l’ultimo viaggio fosse diventato un tragitto impersonale, burocratico, e la pietà fosse stata cancellata dalle comprensibili ragioni sanitarie, con l’atmosfera resa ancor più asettica dal verde oliva di quei mezzi, dietro il quale si pensava ci fosse gente in divisa abituata per contratto a prendere ordini e a trattenere i sentimenti, a fare i lavori più sporchi senza battere ciglio.

Ci sono volute le parole che il caporalmaggiore Chessa ha affidato al suo profilo Facebook per renderci conto che non è stato così, lungo quella colonna. «Tu guidi, scambi due chiacchiere con il collega alla parte opposta della cabina - scrive -, ma quando, per forza di cose, per un istante il silenzio rompe la tua routine, il tuo pensiero si posa su di loro, realizzi che dentro quel camion non siamo in due, ma sette… cinque dei quali affrontano il loro ultimo viaggio… Ti rendi conto che tocca a te… ed è lì che senti addosso quella grande responsabilità, qualcosa che ti preme dentro, ogni buca, ogni avvallamento sembra una mancanza di rispetto nei loro confronti». Leggi qui tutto il suo post.

Pietro Guerra, 82 anni, di Bergamo, era uno di quelli che viaggiavano dietro, sul cassone. Non aveva il Covid-19, ma è finito lo stesso nel meccanismo del rito d’addio cumulativo, dal quale doveva passare ogni defunto ai tempi del picco dei decessi. Era gravemente malato e il 10 aprile dall’abitazione era stato trasferito all’hospice di Piazza Brembana. È morto lì venerdì 17 aprile. Lo hanno cremato a Novara, l’urna cineraria è tornata al cimitero di Bergamo tre giorni più tardi. C’erano la moglie Anna e i figli ad attenderla.

«Non l’abbiamo più visto da quando è finito all’hospice, perché le visite erano vietate per motivi di sicurezza - confida la vedova -. Della sua morte abbiamo saputo tramite una telefonata. Ci avevano detto che ci avrebbero restituito le ceneri entro il 30, invece ce le ridaranno lunedì. Il colombaro è già pronto, saremo lì ad assistere, ma niente cerimonie». Il figlio Matteo: «Purtroppo papà è morto da solo e nessuno di noi ha potuto accompagnarlo nei suoi ultimi giorni, e anche dopo». E Paolo, l’altro figlio: «È stata una sensazione strana, per certi versi mi è venuta in mente la morte di un cagnolino domestico, per il quale non è previsto alcun funerale. Però, per le persone decedute in quel periodo, purtroppo, la prassi era quella».

Il grazie dei familiari

«Poi arrivi lì alla fine del tuo viaggio, dove ti ritrovi ad abbandonare “il tuo carico”, oramai fa parte di te, come se ti togliessero una parte di cuore, ed è lì che cerchi di capire l’identità del tuo compagni di viaggio», scrive ancora il caporalmaggiore Chessa. Al quale piacerebbe sapere delle vite di chi c’era in quelle bare che ha accompagnato a Novara quel giorno e pagherebbe «oro per conoscere tutti i parenti e potergli dire che, nonostante il contesto, non avrebbero potuto fare un viaggio migliore. Se non potessi conoscerli - conclude - sappiano che ci ho messo l’anima!».«Grazie ancora – sono le parole che Matteo Guerra rivolge al militare -, anche a nome di mio papà che tanto ha amato la vita e tutte le persone che ha conosciuto. Signor Chessa, da oggi ha un angelo in più che la proteggerà dall’alto». Ecco, c’era anche questo dietro il gelo di quella meravigliosa fotografia.

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