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Per il Señor de los Milagros, Bergamo si tinge di viola

Racconto. Alla processione del Señor de los Milagros, che domenica scorsa ha colorato la città, hanno partecipato diversi membri della comunità peruviana. Coloro che appartengono alla primissima generazione, arrivati in Italia da adulti e rimasti ancorati alle tradizioni. I loro figli, nati in Perù e cresciuti in Italia, più integrati con la nuova cultura. Infine, i giovanissimi nati a Bergamo, a cui i genitori cercano di trasmettere il più possibile il “bagaglio” culturale del loro popolo. Un’eccezione tra le tante? Alessio, parte della Hermandad del Señor de los Milagros, la confraternita che organizza lungo le vie di Bergamo la tanto attesa ricorrenza

Lettura 6 min.
Alessio e gli altri “Cargadores”

È la seconda domenica di ottobre e nella chiesa di Sant’Alessandro a Bergamo fervono i preparativi: l’aria è frizzante e carica di una leggera tensione. «Quando ero piccolo sono andato in Perù alla processione del Señor de los Milagros con mia nonna. È stata lei a trasmettermi la profonda Fede che ho ancora oggi e per cui sono qui». Con queste parole, Alessio, che ha vent’anni ed è nato e cresciuto a Bergamo da genitori originari del Perù, mi introduce ad una delle celebrazioni più importanti per il popolo peruviano.

Per l’occasione indossa giacca, cravatta e una spilla viola sul petto, raffigurante proprio l’icona del Señor de los Milagros, chiamata così dal nome del dipinto sopravvissuto al terremoto che nel 1655 distrusse Lima. Da quel momento, i limegni iniziarono a pregare con devozione l’immagine e a ottenere da essa guarigioni e grazie. Negli anni, il dipinto venne risparmiato da altri eventi catastrofici – molto comuni in Perù durante il mese di ottobre – e così, considerato miracoloso, cominciò a essere chiamato, appunto, «Signore dei Miracoli». A distanza di più di 300 anni, i fedeli peruviani di tutto il mondo continuano a celebrare lo stesso culto attraverso una processione, durante la quale i cargadores (i portatori) trasportano sulle proprie spalle l’immagine, posizionata su una massiccia struttura in legno. Tra loro, c’è anche Alessio, già pronto per affrontare la giornata: «Quando carico sulle spalle l’immagine, è come se sentissi il peso di tutti i miei peccati, ma anche il sacrificio dei miei nonni e dei miei genitori. È una cosa però che mi solleva, mi fa stare bene, nonostante il dolore».

Il giovane non sarà da solo a sostenere quel peso, ma lo porterà insieme ad altri 15 cargadores, tra cui Enrique, un giovanotto di 37 anni dai lineamenti peruviani e l’accento bergamasco. «Per me oggi è un giorno importante, perché mi ricorda le mie origini, più che per l’aspetto religioso. Dopo tanti anni vissuti a Bergamo, in momenti come questi sento da una parte il dolore di essere lontano dalla mia terra, dall’altra il sollievo di ritrovare anche qui ciò che “ho perso” lasciando il Perù». Un sentimento ambivalente, quello di Enrique, anche lui in giacca, cravatta e spilla viola, condiviso dalla maggior parte di coloro che, nati in Perù, si sono trasferiti in Italia quando erano bambini.

«Io sono qui da quando avevo 5 anni – continua il trentasettenne – di peruviano in me ora c’è ben poco… È difficile poi mantenere i contatti con la comunità peruviana, tra il lavoro e tutto il resto. Attraverso però giornate come questa vorrei provare a continuare a coltivare ciò che hanno seminato le generazioni precedenti, cioè quella dei miei genitori e dei miei nonni». Scopro così che suo padre, Farfan, è proprio tra i fondatori della Confraternita del Señor de los Milagros, nata nel 2002 a Bergamo da un piccolo gruppo di compaesani. Il desiderio di far crescere gli sforzi della famiglia è allora ancora più sentito. Proprio Farfan, che è anche referente della comunità peruviana, in quel momento si avvicina a me e ai miei interlocutori: «I “cargadores” si stanno radunando di là, per le ultime dritte prima della processione. Venite!». Il suo tono di voce tradisce una certa agitazione per la celebrazione che si sta avvicinando.

Ci dirigiamo allora verso un tendone, sotto cui fervono i preparativi. Alcune donne aiutano i mariti a mettersi il tradizionale vestito viola – colore della penitenza e del sacrificio – e a indossare la corda utilizzata come supporto per sostenere il peso dell’immagine, altre si sistemano una stola in pizzo bianco sul capo. I cargadores si posizionano ordinati di fronte a Farfan che, in spagnolo, dà le ultime indicazioni, per poi augurare a tutti una «buona processione». L’aria è carica delle emozioni riservate prima di ogni evento importante.

La giornata del Señor de los Milagros può cominciare. Dopo la messa – animata da canti in spagnolo e celebrata da Don Mario Marossi, l’ormai noto “parroco dei migranti” – è il momento tanto atteso della processione. I “portatori”, tra cui Enrique e Alessio, si mettono sotto la struttura in legno che regge il dipinto e, al suono di una campana, si sollevano e cominciano a ciondolare per poter avanzare con ritmo. Davanti a loro alcune donne, vestite di viola e con il capo coperto, diffondono i profumi di incenso, palosanto e carbone, disegnando con l’incensiere una croce davanti a sé. Con passo lento e costante, il Signore dei miracoli esce dalla chiesa, incontrando la folla dei peruviani radunata per l’occasione.

Donne, uomini, anziani, giovani e bambini: sembrano esserci proprio tutti i mille peruviani della provincia bergamasca. Vivranno allo stesso modo quel culto? Lo chiedo a un giovane di sedici anni, Gennaro, che entusiasta mi risponde: «per me oggi è un giorno importante, perché mi permette di ricordare le mie tradizioni. Sono nato a Bergamo e da tanti anni non torno in Perù: solo in queste occasioni posso “rivivere” le mie radici». Al suo fianco, la cugina Guendi, ventitreenne, conferma: «Io sono arrivata a Bergamo da poco più di un anno ed è bello vedere che anche qui posso festeggiare il Señor de los Milagros, una festa molto sentita a Lima». Nella capitale del Perù infatti la ricorrenza è ancora più in grande: «A Lima, festeggiamo questa occasione per quasi tutto il mese – precisa Narcisa, zia della ragazza e madre di Gennaro – di solito, celebriamo il Señor de los Milagros il 18, 19 e 28 di ottobre».

Mentre i tre condividono i propri ricordi e sensazioni del passato, sul sagrato della chiesa prende posto anche la banda che, a suon di tromba, intona l’Inno di Mameli. Tutti i presenti lo cantano con entusiasmo, qualcuno con la mano sul petto. Segue poi l’inno peruviano, ancora più coinvolgente per i fedeli che, alla fine, urlano in coro «Viva el Perù!».

Conclusi i canti nazionali, i cargadores riprendono sulle spalle l’immagine e procedono con l’andatura pendula. Dietro di loro, il numeroso corteo di peruviani avanza lungo via sant’Alessandro, seguito dallo sguardo di turisti curiosi e, soprattutto, di residenti bergamaschi affacciati alla finestra. Tra la folla, riesco a parlare con Cristina, una trentunenne che, come Enrique, è nata in Perù e si è trasferita in Italia con la famiglia quando era piccola: «Io vengo qui con i miei bambini per insegnare a loro ciò che mi hanno trasmesso i miei genitori e i miei nonni. Poi in realtà non sempre seguo gli eventi della comunità, non vado spesso a messa, ma è comunque importante esserci in giorni come questo». Attorno a lei, trotterellano divertiti alcuni bambini, tutti con la propria tunica viola. «Ci tengo a vestire così i miei figli, almeno cominciano fin da piccoli a conoscere le loro origini. Altrimenti, il rischio che corrono è di perdere il legame con la propria terra» mi spiega un’altra giovane, mentre sistema il cerchietto della figlia. Più che per l’aspetto religioso quindi, molti genitori di origine peruviana e a cavallo tra la prima e seconda generazione partecipano alla processione con i figli per non dissolvere la propria storia e per trasmettere i preziosi valori della tradizione da generazione in generazione.

Per alcune persone, però, non si tratta solo di mantenere la cultura del proprio popolo, ma soprattutto di coltivare la propria devozione per il Signore dei miracoli: «Io credo molto nel Señor de los Milagros per la mia esperienza personale» mi racconta una giovane peruviana, mano nella mano con il marito bergamasco. «La mia cuginetta è nata con diversi problemi di salute, rischiava di morire. Allora abbiamo tutti pregato molto il Signore dei Miracoli ed è guarita. Oggi sta bene». Dai suoi occhi brilla un po’ di commozione al ricordo della cuginetta ora in salute.

La donna stava per aggiungere dettagli, quando viene chiamata dai cargadores per sostenere, insieme ad altre mujeres (donne), l’immagine sacra. Tante, come lei, rispondono sorridenti all’appello e raggiungono la pesante icona per caricarsela sulle spalle. I portatori propongono anche a me di fare la stessa cosa e così, curiosa, mi posiziono sotto quel peso e percepisco tutte le sensazioni forti che circolano tra la folla. La parola che più circola tra la gente è infatti “emozione”: così viene vissuta dalla maggior parte dei presenti, più o meno credenti. «Qui è come casa» commenta una ventiduenne, che per la prima volta partecipa all’evento.

La processione prosegue lungo via Sant’Orsola e via XX settembre, immortalata dagli smartphone dei passanti. Qualcuno si avvicina per toccare l’immagine del Signore dei miracoli, qualcuno altro osserva a distanza. Dopo due ore e mezza di cammino, si torna al punto di partenza e, davanti alla chiesa di Sant’Alessandro, la celebrazione si conclude con un momento tutto dedicato ai bambini. Uno a uno i più piccoli vengono sollevati di fronte al Signore dei miracoli da uno dei portatori, Alexi Flores. Più tardi mi spiegherà: «L’anno prossimo, questi bimbi entreranno nella confraternita, è una specie di battesimo».

Tra le risate divertite dei più piccoli, gli inviti di Farfan che grida «Ci sono degli altri pequenos?», e gli ultimi sbuffi di incenso, la processione si scioglie. «Adesso ci spostiamo tutti a San Lazzaro per il pranzo… sono le 15 e qualcuno potrebbe aver fame» scherza Don Mario, indicando ai presenti dove dirigersi per “compartir”, condividere il cibo. Un’ora dopo, ci ritroviamo ancora insieme, seduti in un grande salone, stanchi, ma entusiasti per la giornata trascorsa insieme. Finalmente, arrivano le costine di maiale in umido accompagnate dal riso. E di nuovo, ci si sente a casa.

(Tutte le foto sono di Federica Pirola)

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