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Roberto Savio ai giovani: “Abbiamo confuso la crescita con lo sviluppo, ma il mondo sta cambiando con voi”

Articolo. Molte fedi sotto lo stesso cielo ospita il 22 ottobre alle 21:00 il giornalista esperto di comunicazione, commentatore politico e attivista per la giustizia sociale e climatica. Ci ha spiegato perché il nostro modello di sviluppo era già in crisi prima del coronavirus e da dove possiamo partire per ricominciare

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Roberto Savio ha 86 anni e, alle spalle, una carriera giornalistica che fa impallidire. A 30 anni ha fondato un’agenzia di stampa, l’Inter Press Service, per appianare il divario di informazione tra Nord e Sud del mondo e “dare voce a chi non ne ha”. Nel 2008 ha rinnovato il suo interesse per un’informazione “alternativa” creando Other News, per dare visibilità alle notizie che non appaiono sui mass media e formare così cittadini più consapevoli.

Ha lanciato numerosi progetti internazionali improntati al supporto alle zone in via di sviluppo, ha collaborato con l’ONU per diverse iniziative nel campo dell’informazione e della comunicazione e ha ricevuto vari premi giornalistici prestigiosi. Giovedì 22 ottobre sarà a Molte fedi sotto lo stesso cielo con un intervento dal titolo “Ripensiamo il modello di sviluppo?”, in diretta streaming a partire dalle 21:00. In una densissima chiacchierata, ci ha spiegato cosa c’è che non va nel nostro attuale modello di sviluppo capitalista neoliberale e cosa possiamo fare per rimediare.

Siamo usciti dalla Seconda guerra mondiale convinti che dovevamo ricostruire la società”, inizia a spiegare. “E come si costruiscono le società? In base alle leggi, perché non ci sia la giungla, e in base a dei valori comuni. Questi valori comuni li abbiamo decisi insieme, come la democrazia, e li abbiamo messi nelle Costituzioni di tutti i Paesi”. Qualcosa, però, col passare del tempo è andato storto. La cooperazione internazionale è diventata una maglia di forza, per chi, al contrario, aveva interesse a prevaricare gli altri Stati.

Siamo entrati una spirale, con Reagan, Bush e Trump, che è basata sull’idea che ogni Stato deve perseguire i propri interessi”. È così che in Italia si è finito per parlare di un ritorno alla sovranità della lira, è così che è avvenuta la Brexit. Per capire però le radici profonde di queste convinzioni, dobbiamo fare un passo indietro e considerare la storia del modello di sviluppo capitalista neoliberale, che ancora oggi regola le nostre dinamiche sociali ed economiche.

Secondo Savio, dopo la caduta del muro di Berlino e in concomitanza con altri eventi dalla portata storica colossale come l’accordo di Washington tra il Tesoro americano, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca mondiale o la decisione di Tony Blair di presentarsi come il “volto umano” della globalizzazione, lo sviluppo capitalistico non ha più avuto freni. La globalizzazione è diventata il motore economico principale, ma ha portato con sé numerosi effetti negativi non previsti.

La globalizzazione ha prodotto pochi ricchi e molti poveri e col passare del tempo i poveri, gli sposseduti e quelli che hanno perso il posto di lavoro per la delocalizzazione delle fabbriche hanno iniziato a votare a destra e non più a sinistra”. Con la crisi finanziaria del 2008-2009, infatti, si è fatto avanti uno dei più potenti motori della storia: la paura. “Il fenomeno dell’immigrazione, unito all’instabilità causata dalla crisi finanziaria, ha creato una miscela terribile di incertezza e di paura. Sono spuntati ovunque, in tutta Europa, partiti sovranisti, nazionalisti, populisti e xenofobi”.

Se la paura è stata la causa scatenante, i fattori che hanno aggravato la deriva nazionalistica della politica sono da ricercare altrove: “La comunicazione è un processo orizzontale e oggi, grazie a Internet, tutti comunicano con tutti. Il problema è che si è andata creando una serie di bolle virtuali, in cui si rifugia uno che crede A, parla solo con quelli che credono A e, se trova qualcuno che crede B, lo insulta”.

E non solo: “I motori di ricerca sono organizzati in modo che chi va in internet ci resti il più possibile. Per far questo, danno priorità a tutto ciò che è strano, scandaloso, impattante, cioè le regole peggiori del giornalismo di mercato. Internet è diventato un veicolo di fake news e di odio, utilizzato dai politici molto più di quanto si fossero mai affidati all’informazione”. Perché i politici preferiscano un tipo di comunicazione orizzontale a quello, verticale, che è proprio dell’informazione, è chiaro se si osserva un semplice dato: “Trump ha 87 milioni di follower su Twitter. Tutta la stampa statunitense insieme stampa 60 milioni di copie. Trump, grazie a Twitter, ha una circolazione maggiore dei giornali”.

Il risultato è che chi era emarginato prima, chi non ha mai avuto voce in capitolo nelle decisioni importanti e nei processi sociali e politici, continua a non averne. Savio fa due esempi efficaci e rappresentativi: “L’umanità è composta per più del 50% dalle donne, ma mai si sentono campagne di stampa o informazioni su come rivedere le statistiche nazionali ed internazionali per includere il lavoro femminile di sostegno della società. Oppure, ancora: bruciano le foreste dell’Amazzonia, ma io non vedo nessun giornale riportare dichiarazioni degli indios, che sono le vere vittime”.

La causa profonda di tutto questo processo è, secondo Savio, un’adesione cieca e ottusa al modello di sviluppo capitalista neoliberale, che porta in sé una grave fallacia: “Abbiamo confuso il termine sviluppo con il termine crescita. Lo sviluppo è un processo al termine del quale io sono di più, la crescita è un processo al termine del quale io ho di più. Siamo tutti abituati all’idea di avere di più, non di essere di più. E quando recuperiamo l’umanità? Quando ricollochiamo l’uomo al centro della società, e non il mercato?”.

Il quadro generale è desolante, ma c’è una speranza di cambiamento che risiede nelle generazioni più giovani, nonostante la loro scomparsa dalla vita politica attiva: “In Italia i giovani non votano: ciò, unito al fatto che stiamo diventando un paese di vecchi e che i vecchi invece votano, fa sì che tutto il sistema pubblico sia diretto ai vecchi. Io capisco che i giovani si sentano esclusi dalla società, però, con le proteste per il clima hanno dimostrato che, entrando nel dibattito pubblico, riescono ad obbligare il sistema ad occuparsi dei temi a cui tengono”.

È proprio a loro che dovremmo rivolgerci per scatenare un vero cambiamento. Manca un manifesto, mancano dei valori comuni, e questa mancanza fa sì che si diano connotazioni politiche dell’uno o dell’altro estremo a azioni neutre come indossare una mascherina o discutere del cambiamento climatico. Ma ci sono i presupposti perché si inneschino processi di rinnovamento.

Movimenti come #metoo, o la lotta climatica, guidata da una ragazza, tra l’altro autistica, di 15 anni, o le proteste contro il razzismo sono simbolo di un fatto molto semplice: la gente possiede un idealismo di fondo; anche la persona più cinica ha, io credo, dentro di sé, una scintilla di luce. Se noi riuscissimo a muovere queste scintille e a collegarle, potremmo invertire il corso degli eventi. Se i giovani tornassero ad occuparsi attivamente della società, qualcosa si potrebbe cambiare”.

Il mondo sta cambiando con voi che state cambiando”, sintetizza Savio, rivolgendosi ai giovani. E aggiunge un messaggio di incoraggiamento per i bergamaschi: “Considero Bergamo una delle città più solide d’Italia. La pandemia è stata un’esperienza tragica, durissima per i bergamaschi, ma ha rafforzato la loro resilienza. Una città da sola, però, non può cambiare nulla: bisognerebbe continuare con le iniziative sinergiche come Molte fedi e Bergamo dovrebbe giocare un ruolo di rete”.

Sito Molte fedi sotto lo stesso cielo

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