Il nome della valle è dato dal torrente Lujo, che nasce in prossimità del colle Gallo e percorre la valle fino a sfociare nel fiume Serio all’altezza di Albino. Il primo insediamento di una certa rilevanza risale al 1136, quando alcuni monaci benedettini ricevettero in dono dall’allora vescovo di Bergamo Gregorio le terre di questa vallata. Fino a quel momento, non esisteva un centro abitato, ma soltanto fuochi sparsi in quella che veniva descritta come una zona ricoperta da «boscaglia fitta e scura».
Il complesso monastico venne quindi nominato come «San Benedetto in Vallalta», essendo in quel tempo la valle del Lujo identificata come «Vallalta», per via della sua posizione elevata rispetto alla val Seriana. I monaci cominciarono a dissodare le terre e renderle coltivabili, attirando di conseguenza abitanti dai paesi limitrofi. La popolazione crebbe a tal punto che già nei primi anni del XIV secolo Vallalta cominciò a svilupparsi e ad essere nominata come entità amministrativa e religiosa unita alla vicina comunità di Cene. Il fulgore dell’abbazia durò un paio di secoli, dopo di che, per cattiva amministrazione dei beni, iniziò un progressivo declino che culminò nel 1550, quando morì l’ultimo dei monaci rimasti e con lui si estinse qualsiasi attività monastica. Mi sento di consigliarne una visita recandosi ad Abbazia, frazione di Albino.
L’itinerario di oggi parte proprio dalla località Vall’Alta e si sviluppa lungo il sentiero CAI n° 512, che disegna un percorso ad anello intorno al monte Altino. Rispetto alle indicazioni abituali, decidiamo di seguire il percorso in senso antiorario. Dal campo sportivo (435m) di Vall’Alta ci dirigiamo verso sud seguendo via Colzine. Dopo 200m, all’altezza di una curva a destra, imbocchiamo via Cantullo. La percorriamo solo per pochissimi metri, per poi imboccare una ripida strada cementata che si stacca sulla sinistra (è una strada privata ma aperta al passaggio dei pedoni).
Superato lo strappo iniziale, la strada piega a destra e addolcisce proseguendo nel bosco con pendenza regolare. Dopo circa un chilometro, giungiamo nei pressi della chiesina dei Mòrĉ di Frösch (544m), una cappelletta costruita in suffragio dei morti di peste nel 1630 nel luogo in cui vennero sepolte le vittime della terribile epidemia. Cà Frösch è il nome di una cascina soprastante, toponimo da ricondurre a «frasca». Da alcuni anni, gli alpini della valle del Lujo se ne prendono amorevole cura rendendo piacevole la sosta per il viandante.
Ci troviamo sul versante meridionale del monte Altino. Superata la chiesetta, si abbandona la strada forestale per proseguire, a sinistra, sul ripido sentiero (bolli bianco/rossi) che risale l’ampia dorsale del monte. Con fatica, percorriamo i ripidi tornanti serpeggiando tra giovani esemplari di carpino e frassino. Si costeggiano i ruderi di alcuni capanni di caccia fino al ricongiungimento con la strada cementata che conduce presso alcuni cascinali ben ristrutturati. Può capitare, come è successo a noi, di lasciarsi distrarre dallo splendido contesto bucolico e di seguire la comoda stradella anziché il sentiero CAI. Nulla di grave, basta mantenere la destra per tornare sulla retta via.
Giungiamo presso la cascina Colombera (850m), un bel complesso rurale che attraversiamo con curiosità. Il sentiero ora diviene pianeggiante. Costeggiamo un appostamento fisso di caccia in posizione strategica e, dopo una breve discesa, siamo in prossimità di un evidente crocevia: ci manteniamo sul sentiero CAI seguendo le indicazioni per il santuario di Altino che in questo tratto coincide con un altro itinerario, il periplo di Altino. Stiamo attraversando i boschi che ricoprono i pendii orientali del monte, poco sopra la località pracc Molècc. Man mano che si guadagnano i versanti più ombrosi, la vegetazione inizia a cambiare lasciando spazio a roveri, faggi, castagni e qualche esemplare di ciliegio. In meno di venti minuti raggiungiamo il Santuario della Beata Vergine del monte Altino (840m).
Nel mese di novembre, il Santuario riceve il sole nella tarda mattinata. Fortunatamente abbiamo azzeccato i tempi ed il Santuario è illuminato dai suoi raggi. Oggi è un giorno feriale e siamo gli unici visitatori. Nei pressi della chiesa, notiamo un signore intento ad accudire con cura un’aiuola fiorita. È Piero, il custode del Santuario, e approfittiamo per intrattenere una conversazione. Cogliamo immediatamente dalle sue parole la profonda fede e la passione che caratterizzano il suo preziosissimo servigio. Ci racconta che quest’anno, dopo i silenzi del Covid, i pellegrini sono tornati molto numerosi. Il Santuario sorge nel luogo in cui avvenne un fatto prodigioso: il 23 luglio 1496 un carbonaio di Vall’Alta, di nome Quinto Foglia, si trovava a lavorare nei boschi aiutato dai due figlioletti. Sopraffatti della sete, non esistendo in zona sorgenti d’acqua, pregò la Madonna affinché alleviasse la sofferenza sua e dei pargoli assetati. La Madonna apparve loro e disse a Quinto Foglia di battere con il podèt (il potatoio) la roccia dinnanzi a lui. Da lì cominciò a sgorgare una sorgente d’acqua fresca. All’indomani del miracolo, gli abitanti di Vall’Alta iniziarono la costruzione di una piccola cappella che negli anni venne sempre più ampliata.
Piero ci invita ad entrare all’interno del Santuario. Dietro l’altare, ricoperta da una lastra di vetro, appare la pietra da cui sgorga l’acqua miracolosa. Trovandoci in una zona di rocce calcaree molto avare d’acqua, e per di più quasi in cima al monte, chiedo a Piero se in quest’anno estremamente siccitoso la sorgente si fosse prosciugata. Piero conferma che da quel lontano giorno l’acqua non ha mai smesso di sgorgare, nemmeno quest’estate, la più torrida da secoli. L’acqua miracolosa, bene preziosissimo in questa zona, viene raccolta in cinque cisterne sotterranee, a disposizione per soddisfare tutte le necessità del Santuario e delle strutture di accoglienza.
I racconti di Piero proseguono. Ci mostra i pregevoli affreschi del presbiterio, opera del Baschenis, rinvenuti casualmente in occasione dei lavori di restauro del 1996. Mentre ammiriamo i dipinti, Piero indica una finestrella a fianco dell’altare. Da quella apertura, ogni 23 luglio alle 7.30 un raggio di sole penetra in chiesa e corre ad illuminare il volto della Madonna dormiente del Baschenis.
Incalzato dalle mie domande intrise di curiosità, Piero continua a sorprenderci: si celebra quest’anno il centenario della realizzazione del porticato d’ingresso alla chiesa. Per l’occasione, vennero utilizzate sei colonne di pietra arenaria che per anni erano rimaste depositate nella canonica di Vall’Alta in attesa di essere traslate. Quell’anno, finalmente, i fedeli delle quattro frazioni si accordarono. Sollevando le pesantissime colonne con funi, le trasportarono lungo la mulattiera che da Vall’Alta sale al Santuario. All’immane lavoro parteciparono anche ragazzini e bambini! A questi ultimi era affidato il compito di portare le tegole.
Ci congediamo da Piero con l’intento di tornare per ascoltare nuovi racconti. Prima di riprendere il cammino, una sosta è d’obbligo per ammirare lo splendido panorama sulle Orobie che si gode dalla terrazza del Santuario.
Il sentiero CAI n° 512, raggiunto il Santuario, rientra direttamente a Vall’Alta rinunciando alla salita al monte Altino. Decidiamo invece di non tralasciare la parte escursionistica che ritengo più interessante. Alle spalle del Santuario, un intaglio tra due muraglioni di pietra indica la via per raggiungere la cima. Attraversiamo un bel bosco di faggi, dove un tempo c’erano i prati in cui pascolavano le mucche del vecchio custode del Santuario (parola di Piero!).
Risaliamo i pendii settentrionali del monte fino ad intersecare una strada cementata di servizio per alcune casette. La percorriamo salendo a sinistra. La strada diviene nuovamente sentiero e sbuca nei prati sommitali del monte Altino. Il foliage inizia a meravigliare i nostri occhi. Il cielo azzurro fa da contrasto alle diverse tonalità di giallo e bruno delle piante. Raggiungiamo la cima del monte Altino (1018m), dove una croce di legno e una panchina invitano ad una sosta contemplativa. È meraviglioso girovagare tra i prati e i boschetti, quassù!
Ci muoviamo liberamente, assecondando l’istinto e avendo cura di scendere mantenendo la direzione verso Ovest. Qualche imperiosa mazza di tamburo resiste orgogliosamente all’inverno imminente. Così, tra un clic e l’altro, transitiamo per un interessante capanno fotografico, realizzato da un appassionato di Vall’Alta con l’intento di “catturare” qualche foto di uccelli. Ancora pochi metri e siamo presso l’anticima del monte Altino, anch’essa contraddistinta da una croce con le panchine da meditazione. Lo sguardo sulla media Valle Seriana è davvero suggestivo.
Scendiamo nei prati sottostanti e, nei pressi di una bella villetta, ci imbattiamo in un antico trattore restaurato e collocato nel prato in posizione panoramica: sembra essere un monumento all’operosità degli abitanti della valle. Raggiungiamo la strada cementata sottostante che, dopo aver toccato numerose cascine, scende ad intercettare la strada asfaltata che conduce a Vall’Alta. La seguiamo fino ad un tornante, dove ritroviamo i bolli bianco/rossi del sentiero CAI n°512. Una discesa di una ventina di minuti ci riconduce alla chiesa parrocchiale di Vall’Alta.
P.S. L’escursione qui descritta è lunga 12km con 750m di dislivello positivo. Calcolate quattro ore, comprensive della visita al Santuario. Un’alternativa meno faticosa (che tuttavia non transita dalla cima del monte Altino) è il Periplo di Altino, un facile itinerario ad anello, ben segnalato, di 5 km con poca salita che parte dal Santuario.
(Tutte le foto sono di Camillo Fumagalli)