Gratitudine
di Oliver Sacks

Nelle sue pagine non c’è tristezza, ma un profondo, intenso inno alla vita, reso ancora più coinvolgente dalla sua capacità di sfruttare tutto il tempo concesso.

«Non posso fingere di non aver paura, ma il sentimento dominante è la gratitudine. Ho amato e sono stato amato. Sono stato un animale pensante su questo splendido pianeta, e ciò è stato un privilegio e un’avventura». Così Oliver Sacks ha parlato della sua malattia, ormai allo stadio terminale, nell’articolo «La mia vita», uscito l’anno scorso sul «New York Times» e ora raccolto in «Gratitudine» (Adelphi) con altri tre testi del neurologo e scrittore americano (la sua opera più conosciuta è «Risvegli», da cui è tratto il film con Robin Williams e Robert De Niro). Li ha scritti negli ultimi due anni prima della morte, avvenuta nell’agosto 2015.

Parla di sé e della sua condizione con garbo e semplicità. Nelle sue pagine non c’è tristezza, ma un profondo, intenso inno alla vita, reso ancora più coinvolgente dalla sua capacità di sfruttare tutto il tempo concesso: «Mi sento intensamente vivo - scrive - e spero di usare il tempo che mi rimane per approfondire le amicizie, per dire addio a coloro che amo, per scrivere di più, per viaggiare se ne avrò la forza, per raggiungere nuovi livelli di comprensione e di intuizione». Un libro saggio e contagioso che può già far sentire grati di ciò che si legge.

Parla poi di gratitudine come di una risposta a un dono e ne sottolinea la gratutità l’«Elogio della gratitudine» (Cittadella) di Enrico Peyretti: «Non ha nulla a che fare - dice Giannino Piana nell’introduzione - con lo scambio equivalente o vantaggioso proprio della logica del mercato». Indica questa virtù, infine, come motore di trasformazione dell’esperienza quotidiana e generatore di bellezza «Dire, fare, ringraziare» di Assunta Corbo. 

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