Il Covid ha cambiato il volto delle residenze per gli anziani

L’accoglienza nelle Rsa è un processo delicato e complesso dove l’infermiere tiene conto di tutte le caratteristiche dell’ospite e di ogni sua necessità.

Durante la pandemia, le residenze per anziani hanno avuto ampia attenzione mediatica. La mortalità da Covid-19 si concentra tra i grandi anziani pluripatologici e questi rappresentano la popolazione delle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), i numerosi decessi hanno costituito un esito inevitabile. Le Rsa sono luoghi che garantiscono l’assistenza a cittadini fragili che non hanno la possibilità di cure appropriate e continuative al domicilio, con professionalità ed attenzione da parte di sanitari competenti.

Certo è che non si può «archiviare» la faccenda porgendo le più vive condoglianze ai familiari e un sentito encomio all’abnegazione degli operatori. Gli infermieri credono invece che sia necessario costruire un percorso efficiente che vada dal territorio all’ospedale e viceversa, individuando i servizi che meglio soddisfino i bisogni della persona anziana e della sua famiglia.

L’accoglienza in Rsa è un processo delicato e complesso dove l’infermiere raccoglie le informazioni utili alla predisposizione del Piano di Assistenza Individualizzato che tiene conto delle caratteristiche peculiari dell’anziano e dei suoi bisogni. Per l’ingresso attualmente, occorre eseguire un tampone molecolare per la ricerca del Coronavirus, un periodo di isolamento di 14 giorni e ripetere il tampone. Il personale eroga l’assistenza con tutte le precauzioni anticontagio e una particolare attenzione alla persona che sta vivendo un particolare cambiamento.

Il Dpcm recita testualmente: «l’accesso di parenti e visitatori a …, Rsa, hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali … è limitata ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura, che è tenuta ad adottare le misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione».

Non sono di grande aiuto le affermazioni di principio sulla dignità e sulla libertà delle persone anziane; infatti, nelle istituzioni vi è un grandissimo, concreto, determinato impegno per rispettare i loro diritti. È un argomento delicato sul piano giuridico e si può solo affermare che il rischio coinvolge non solo il singolo ma tutti gli assistiti e il personale di assistenza.

Si sollecitano incontri schermati, «sala degli abbracci», videochiamate che permettono di sentirsi meno distanti ed essere rassicurati in merito allo stato di salute dell’assistito, le attività individuali permettono di vivere la quotidianità con speranza. È cambiato il modo di vivere in Rsa e le strutture, con chi le abita, non potranno più essere quelle di prima.

L’emergenza ha richiamato gli infermieri in ambiti di cura per acuti e gli infermieri delle Rsa stanno soffrendo perché credono nei percorsi di assistenza alla persona fragile, nella valorizzazione di competenze specifiche nell’approccio assistenziale e relazionale alla fragilità e alle cure palliative, perché sanno lavorare con altri professionisti integrandosi per rispondere adeguatamente ai bisogni.

Poi, la cosa migliore che ci possa capitare è quella di diventare anziani, sapendo di essere assistiti con competenza e dignità se non ce la faremo da soli.

*Infermiere dirigente

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