In Texas a 17 anni
Intercultura,un ranch e il basket

Alessandro Ardenghi, negli Usa con Intercultura. Un anno di scuola e l’impegno nella squadra di basket. Ospite di un nonno con tre nipoti in un ranch da film. Appassionato di basket dall’età di dieci anni, Alessandro Ardenghi 17 anni di Boccaleone, dal quarto anno di liceo decide di proiettarsi in un’esperienza nuova e stimolante: dieci mesi nella Lampasas High School in Texas grazie al programma di Intercultura. Oggi vive in una sorta di ranch con un nonno e i tre nipoti che Alessandro chiama fratelli. Studia, impara l’inglese e gioca a basket nel «varsity», la categoria più vicina al livello universitario.

«Ho giocato prima a Boccaleone, poi a Torre Boldone e Treviolo; è sempre stata un passione ma non puntavo a nulla, se non a divertirmi e a stare con i miei amici. Gli sforzi erano proiettati sullo studio e sulla necessità di avere un’ottima preparazione per poter accedere all’università – racconta –. Senza dubbio il Mascheroni è un liceo di ottimo livello ma, per diversi motivi, avevo il desiderio di cambiare e di conoscere nuove realtà. Il mio professore di educazione fisica, Elio Verzeri una figura di riferimento importante che oggi è in pensione, mi ha lanciato l’idea di fare un anno all’estero, credeva in me e nel fatto che potessi farcela, anche con l’inglese. Ci ho pensato, ho iniziato a informarmi, ho cercato le associazioni migliori a cui affidarmi con l’intenzione iniziale di stare via sei mesi. In realtà ha prevalso il sogno di andare negli Stati Uniti e la passione per il basket e l’Nba che ho sempre adorato. L’unico programma con queste caratteristiche era di un anno accademico e mi sono detto “ok, farò un anno”. Le altre due opzioni erano per Cina e Russia, ma la risposta della Lampasas High School è stata positiva e ad agosto sono partito».

Nonno e tre nipoti

«Intercultura mi ha davvero sostenuto molto – racconta Alessandro Ardenghi –: la mia tutor mi ha anche ospitato mentre cercavano un’altra famiglia a cui affidarmi perché la prima assegnazione, nella casa di un padre single, non era andata bene. Alla fine un’amica mi ha invitato a stare da lei e oggi vivo a circa 30 minuti da Lampasas, una cittadina di 7.000 abitanti, con il nonno e i miei tre fratelli in una casa di campagna circondata da ettari di terreno con un cane, tre gatti una dozzina di mucche. Le mie giornate seguono una routine intensa, mi sveglio alle 6 e il nonno mi prepara la colazione, è una persona arzilla, piacevole e molto intelligente, mia sorella maggiore che ha 18 anni mi accompagna a scuola in macchina. Le lezioni iniziano alle 8 di mattina, mi vengono a prendere alle 18.30 dopo gli allenamenti. Mangiamo qualcosa insieme, guardiamo un film e alle 23 circa vado a dormire».

«A scuola i ragazzi mi hanno accolto benissimo – ricorda Alessandro –, si sono dimostrati da subito curiosi di conoscermi, avevano tante domande sull’Italia, su Bergamo, sul perché avessi fatto questa scelta e spesso mi chiedevano di parlare in italiano per ascoltarne i suoni e la musicalità così diversa e bella per loro. Il sistema scolastico prevede tre materie obbligatorie e tutte le altre a scelta. Io ho optato per quelle più impegnative e vicine al mio corso di studi italiano. Creare amicizie è stato abbastanza facile, nonostante il cambio dell’aula e del gruppo avvenga praticamente a ogni ora, ogni disciplina ha la propria aula e sono gli studenti a spostarsi. Da un certo punto di vista è positivo perché incroci praticamente tutti, dall’altro hai meno possibilità di instaurare delle relazioni stabili. I laboratori sono dotati di strumentazioni complete e costose, non devi comprare i libri e ti danno gratuitamente un computer personale. Gli insegnanti sono giovani e vicini ai ragazzi, la vita scolastica è più attiva e partecipativa, cercano di farti imparare le cose in modo diverso. Vogliono che tu abbia attività extra curricolari e mi piace la loro dedizione allo sport».

«Non si seguono le mode»

«È stato proprio entrare nella squadra della “Lampasas High School” che mi ha fatto sentire parte di qualcosa di bello e importante – racconta ancora Alessandro Ardenghi –. Il livello di gioco è alto, l’allenatore è in gamba e la palestra è enorme con spalti che si muovono elettricamente. Gli allenamenti sono duri e l’impegno è notevole, ma mi piace moltissimo, così come ho scoperto che parlare inglese mi entusiasma. I ragazzi non sono molto diversi dai miei amici italiani, a parte il fatto che sono totalmente disinteressati alla moda e all’aspetto fisico e arrivano a scuola con qualsiasi cosa indosso, anche in ciabatte o con calzini visibilmente spaiati. Non sono condizionati dall’apparenza e nessuno si sente giudicato per questo».

Genitori e fratello lontani

«Dell’Italia mi manca il cibo – racconta –, i miei genitori e mio fratello, riesco a sentirli solo una volta alla settimana. Il programma non prevede il rientro in Italia prima della fine dell’anno scolastico e per fortuna a Natale la mia tutor mi ha portato in Colorado, in New Mexico e ho visitato anche l’ “Area 51” a Roswell. Certo mi mancano altre cose ma qui sto bene, sono felice e mi sento di incoraggiare chi sente l’impulso di partire. L’esperienza può apparire un po’ spaventosa e piena di dubbi, ma è impagabile e non riesco nemmeno a descrivere bene a parole quello che sto vivendo. È un po’ come rinascere, sta tutto a te, parti da zero e devi metterti completamente in gioco. Sto cambiando molto e in positivo, mi sento più forte e sto crescendo, anche in mezzo alle difficoltà».

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