«Ho venduto tutto e vivo a Brisbane, la mia impresa di pulizie è al top»

BERGAMO SENZA CONFINI. Dimitri Cosi, 36 anni, ad Albino faceva l’elettricista ma ha mollato ogni cosa per trasferirsi in Australia. «Non sapevo neppure l’inglese, ora sono felice».

La voglia di vivere in un posto dove fa sempre caldo e il desiderio di «cambiare aria», sette anni fa hanno portato Dimitri Cosi, 36enne di Albino, a trasferirsi in Australia. Ha lasciato il lavoro di elettricista, e ora vive nella città di Brisbane, nello stato del Queensland, dove gestisce una piccola compagnia di pulizia e manutenzione per privati, «DC Professional Service», e insieme alla compagna detiene parte delle quote di una catena di ristoranti che propone pietanze italo-australiane.

«È iniziato tutto un bel giorno di inverno – racconta il giovane –: ero in vacanza a Sharm El Sheik, in Egitto, dove più o meno è sempre estate. Erano le 17 di pomeriggio, e mi trovavo nella piscina del resort dove alloggiavo. E non so, in un attimo ho avuto un’idea: “Perché non fare questo tipo di vita tutto l’anno?”. Una volta tornato a casa, questa domanda ha continuato a frullarmi per la testa, e si faceva sempre più insistente. Ho fatto diverse ricerche, guardando anche su Youtube, e alla fine mi sono deciso: sarei partito».

La scelta era ricaduta sul Canada inizialmente, ma poi è stata dirottata sulla «terra di canguri». «È stato divertente – confessa – perché in un primo momento volevo andare in Canada. Lì non fa sempre caldo effettivamente, ma ho visto molta gente italiana che si era trasferita lì, ed era soddisfatta, così mi sono rivolto a un’agenzia viaggi per intraprendere tutto l’iter. Ma è stata proprio l’agenzia a farmi cambiare idea: l’Australia era più vantaggiosa, sotto diversi punti di vista, così ho deciso di cambiare meta. Per me l’importante era partire, il dove era abbastanza relativo. Ho sempre avuto l’impressione che l’Italia mi stesse un po’ stretta, era bella sì, ma un po’ tutta uguale per me, e anche grazie al mio lavoro di elettricista, che mi ha permesso di viaggiare tanto, posso dire di aver visto un po’ tutta la penisola e notare che ovunque andassi, c’erano sempre le stesse situazioni e gli stessi problemi».

«Mi sono licenziato, ho venduto tutto ciò che non mi sarebbe più servito per qualche anno, e sono partito con un biglietto di sola andata - ricorda -. Sono una persona abbastanza decisa, a cui non piace guardarsi indietro, e inoltre, dopo tutta la bufera che avevo creato (uno shock per la famiglia e amici) non sarei potuto tornare indietro così alla leggera. C’erano i dubbi certo, ma anche tantissima positività e ambizione. Quest’ultima è proprio la parola chiave di tutta questa esperienza, è la cosa che ti fa muovere, sperare, che ti fa guardare avanti e sognare. Appena sono arrivato ho realizzato che ero nel posto giusto. Le palme, le strade larghe con giardini verdi, il sole, il caldo che ti coccola per la maggior parte dell’anno (eccetto durante alcuni mesi, in cui il caldo diventa insopportabile). Questo era il posto dove avrei costruito il mio futuro. Con il tempo ho capito che, anche se per caso non ce l’avessi fatta, avrei tentato la fortuna in qualche altra parte del mondo, tutto tranne che tornare in Italia. È la mia terra natale e la porto sempre nel cuore, ma per come avevo progettato la mia vita futura, tornare indietro, suonava un po’ come una sconfitta».

Non è stato sempre semplice, e durante il percorso si sono presentati ostacoli da superare. «Aspettative tante, porte in faccia ricevute, anche – prosegue l’albinese –, ma non bisogna mai arrendersi, se ti abbatti, poi ripartire diventa ancora più difficile. Inizialmente volevo fare l’elettricista qui, come già facevo in Italia, ma per via delle regole (un’infinità di questioni burocratiche e licenze), ho dovuto abbandonare l’idea. Anche perché l’ostacolo più grande per me, e sono convinto che lo sia per molti, è stata la lingua inglese. Mi sono serviti alcuni anni per impararla, e decidermi poi a “buttarmi nella mischia” delle conversazioni con la gente, senza sentirmi in imbarazzo. In queste situazioni fa molto il carattere di una persona: ad esempio se sei spigliato, estroverso e hai il coraggio di provare a parlare, senza preoccuparti degli errori linguistici, o di ciò che la gente possa pensare di te, lo impari, e anche in fretta. Ovviamente io sono tutto l’opposto di questo, e quindi ho faticato parecchio, senza contare che non mi ero mai applicato molto nello studio dell’inglese quando ero in Italia. Ma comunque sia, iniziando da zero o poco più, dopo aver fatto lavori nelle fattorie, e aver iniziato a lavorare come “ragazzo delle pulizie” per una compagnia di italiani, ho iniziato a reinventarmi, iniziando a lavorare in proprio, ottenendo notorietà, uno stipendio adeguato, e la possibilità di crescere professionalmente. Qualche anno dopo aver lavorato la sera come pizzaiolo, e diviso le giornate tra lo studio (corso accelerato per diventare chef) e le richieste di pulizie che diventavano sempre più consistenti, ho infatti deciso di aprire una piccola attività, che mi ha consentito di espandermi, assumere personale, e alla fine di integrare anche lavori di riparazione come “tutto fare”».

Al momento, tra i progetti di Dimitri, non c’è quello di ritornare in Italia. «Magari quando sarò vecchio – prosegue –, ma ad ora non penso minimamente all’idea di rientrare. Con la mia compagna, una ragazza lituana che ho conosciuto durante la pandemia, ho appena comprato casa e l’idea è di costruire qui il nostro futuro. La città di Brisbane è molto rurale rispetto alle grandi città come Sidney e Melbourne, certamente molto più caotiche e internazionali. La gente qui è tendenzialmente più gentile e semplice rispetto a chi vive nelle grandi metropoli. Rispetto all’Italia ho subito notato differenze. Una cosa che balza all’occhio è il rispetto delle regole: gli australiani fanno la coda ordinata per salire sul pullman, non superano mai i limiti di velocità in macchina, e nessuno butta spazzatura per strada. Ovviamente il cibo italiano è sempre il migliore, e per quanto ci provino, facendo ottimi caffè o pizze, la qualità delle materie prime italiane è imbattibile. Si cena dalle 18 alle 21, e piacciono molto le colazioni con piatti abbondanti e spremute. Sono parecchio mattinieri, alle 5.30 sono già in giro per fare allenamento e palestra, sarà anche perché le ore di luce sono minori rispetto all’Italia; alle 18 è già buio, anche in estate. Sono molto educati, e prima di una qualunque conversazione ti chiedono sempre “come stai?”. Sono disponibili, onesti e forse un po’ ingenui a volte. Non eccellono nella pulizia: spesso camminano a piedi nudi, e le case sono un po’ sporche rispetto allo stile italiano. Ogni tanto ho nostalgia dell’odore di casa, della famiglia, il cibo, le montagne e il dialetto bergamasco. Ma soprattutto la magia del Natale con il freddo: inimmaginabile qui».

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