Orafa del legno
in Nuova Zelanda
La premier indossa
i suoi orecchini

Un bivio e tre giorni per decidere: restare a Londra, con il rischio di perdere il lavoro e rimanere imprigionata per chissà quanto tempo al di là della Manica, oppure prendere l’ultimo aereo disponibile prima della chiusura delle frontiere e raggiungere il fidanzato in Nuova Zelanda per aspettare insieme a lui il passaggio dell’ondata di piena della pandemia, che stava affacciandosi al mondo proprio in quei giorni.

L’opzione «ritorno a Bergamo», a dire la verità, Sara Airoldi non l’ha nemmeno presa in considerazione. Partita dalla sua città nel 2007 alla volta di Pechino, dove ha insegnato per due anni l’italiano agli universitari cinesi, Sara è tornata a Bergamo nel 2009 giusto il tempo per rendersi conto che, nonostante l’esperienza maturata all’estero, in patria non avrebbe potuto aspirare se non a qualche incarico da stagista. «Piuttosto che lavorare gratis in Italia – dice – ho preferito andare a Londra per perfezionare l’inglese e il cinese, lavorando nel frattempo nel settore della ristorazione».

Tra una parentesi alle Maldive, dove ha prestato servizio per un anno in un resort di lusso per conto di un’azienda di Lugano («tornando dall’Inghilterra – racconta – ho digitato su Google “Italian-English job offer” e mi sono imbattuta in quest’azienda Svizzera, che mi ha offerto un lavoro da favola») e un primo viaggio in Nuova Zelanda per vacanza, la giovane bergamasca, 39 anni oggi, ex commessa della Libreria in Galleria di via XX Settembre, è tornata a stabilirsi a Londra nel 2012, dove ha lavorato per otto anni come «business manager» per la Guida Michelin.

Poi è arrivato il famoso bivio, quello che in poche ore le ha cambiato la vita: «Avevo capito che quel lavoro avrei potuto perderlo – spiega Sara – e pochi giorni prima del lockdown ho deciso di raggiungere Justin, il mio fidanzato, in Nuova Zelanda. Dopo tre giorni, sono stati chiusi i confini nazionali. Contavo di restare qui il tempo della pandemia, e invece…».

Invece oggi, dopo un anno e mezzo, Sara Airoldi è ancora in Nuova Zelanda; è diventata mamma del piccolo Ryder Samuel, nato ad aprile, e soprattutto un’imprenditrice di successo nel settore della gioielleria in… legno. Un exploit tanto repentino quanto inaspettato, e addirittura consacrato pochi mesi fa nientemeno che dal Primo Ministro neozelandese, Jacinda Ardern, che in un’intervista televisiva si è fatta riprendere con indosso un paio di suoi orecchini. «Quando l’ho vista in tv non ci potevo credere – ricorda Sara – e ancora meno quando, dopo averla taggata sui social, ha risposto a un mio commento».

Libraia, insegnante d’italiano, manager del settore alberghiero e oggi orafa del legno: per Sara Airoldi, nativa di Alzano Lombardo e diplomata al Secco Suardo, la vita è cambiata tante volte in pochi anni, passando – come dice lei – «dalle stelle Michelin alle stalle della campagna di Christchurch», nel sud della Nuova Zelanda dove, per non farsi mancare nulla, oggi alleva anche una decina di mucche e una coppia di maialini domestici. «Nel 2011 sono partita, zaino in spalla, come una vagabonda per venire a visitare il Paese: ho lavorato nelle vigne e ho girato in lungo e in largo. Mi mancava la parte più meridionale, che ho scoperto qualche anno più tardi. L’anno scorso, quando ho deciso di tornare, ho riempito tre valige di vestiti: due le ho donate in beneficenza e sono partita con la terza. Ma non pensavo di restare, in fondo nonostante i miei presentimenti, il mio lavoro era a Londra».

In Nuova Zelanda Sara ha ritrovato Justin, che aveva conosciuto nel suo ultimo viaggio e che, grazie anche al lavoro di lui, aveva iniziato nel frattempo a frequentare.

«Quando sono arrivata è scattato un mese di lockdown – ricorda –. Justin aveva conservato in garage una montagna di legno recuperato dal terremoto del 2011 e così, sfruttando alcuni workshop creativi che avevo frequentato a Londra, ho iniziato a lavorarlo». I suoi primi gioielli realizzati in garage, Sara li ha messi in vendita sulla piattaforma online «Chooice» creata ad hoc per sostenere i piccoli business come il suo. «Ho notato che andavano a ruba – racconta – e così ho continuato. Ho insegnato il mestiere anche al mio compagno, che fa il project manager di un’azienda di costruzioni, e ora credo che sia diventato persino più bravo di me. È stato Justin, una mattina, a svegliarmi e a farmi vedere in tv il Primo Ministro con indosso i miei orecchini. Siccome sono oggetti unici, sono risalita alla cliente cui li avevo venduti e l’ho ringraziata. Con quelle foto mi sono fatta un po’ di pubblicità e probabilmente ha funzionato, perché gli affari vanno sempre meglio». Insomma, gioielli made in New Zealand («del tutto naturali, senza coloranti, conservanti o altri agenti chimici», puntualizza Sara), ma con un know-how italiano, maturato in Inghilterra. Ora la sua attività, che Sara ha chiamato «WOODntU», è una realtà in espansione, con un sito internet tutto suo e clienti non solo neozelandesi.

Una bella soddisfazione per la neo 39enne bergamasca, che nonostante un po’ di comprensibile nostalgia, non pensa più di tornare a vivere in Italia: «Non c’è un altro posto in cui farei crescere mio figlio – ammette –. Qui ormai sono integrata, anche se mi mancano i miei affetti. Che bello sarebbe, se si potessero importare anche gli amici!». L’ultima volta che ha preso un aereo per l’Italia, a dicembre del 2019, Sara viveva ancora in Inghilterra; da allora non è più tornata, colpa forse anche del Covid: «Qui la situazione è stata gestita benissimo – racconta –. Dopo il primo lockdown dell’anno scorso il virus è sparito. È ricomparso per la prima volta un mese fa e dopo un solo caso ad Oakland, dunque su un’altra isola rispetto a dove viviamo noi, il Governo ha deciso, per precauzione, di istituire un nuovo lockdown per tre settimane. I casi sono aumentati fino a diventare un centinaio al giorno in tutto il Paese, ma la situazione è sempre rimasta sotto controllo. Quando le autorità hanno accertato, attraverso l’analisi delle acque fognarie, che non c’erano altri infetti, le restrizioni sono state tolte».

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