Aziende orobiche regine dello shopping, 225 le acquisizioni

Dal 2010 Bergamo quinta in Italia per operazioni. Ma in 13 anni vendute anche 219 imprese del territorio. Il 40% delle realtà cedute è finito in mani straniere.

Bergamo è quinta in Italia per numero di acquisizioni societarie completate tra il 2010 e l’inizio del 2023. Una provincia vivace: oltre 200 operazioni, al netto di quelle all’estero e di quelle riguardanti aziende dei servizi finanziari (peraltro una sottostima, perché molti deal non vengono resi pubblici). In Lombardia, che guida la classifica delle regioni più attrattive, è preceduta solo da Milano (1.743 acquisizioni). A dirlo è uno studio commissionato a Kpmg da Confindustria Bergamo, presentato ieri in occasione del secondo appuntamento del progetto «Valore infinito. A ogni impresa la propria governance».

«Il nostro studio - sottolinea Max Fiani, partner Kpmg - dimostra un’evoluzione positiva dei principali indicatori (tasso di crescita annuale, marginalità, investimenti) delle aziende bergamasche oggetto di acquisizione calcolati nei tre anni antecedenti e nei tre successivi all’operazione». Non solo: le aziende che crescono per linee esterne vanno meglio di quelle che seguono una strategia di sola crescita organica e quelle che hanno fatto almeno un’operazione M&A all’estero hanno più probabilità di avere performance migliori all’interno del proprio settore rispetto a chi si è rivolto al solo mercato domestico.

I dati cumulati della nostra provincia (considerando le imprese «target» e «bidder» a livello locale, nazionale e internazionale) arrivano a circa 440 operazioni di M&A in oltre 13 anni, per un valore che sfiora i 14 miliardi, quasi equamente suddivise tra cessioni di imprese orobiche (219 per 6,6 miliardi, per il 40% a società straniere con sede principalmente in Usa, Germania e Francia) e acquisizioni completate da aziende del territorio (225 per 1,6 miliardi, per il 25% all’estero). Alcune realtà sono «serial acquirer»: società a proprietà familiare (Itema, Sdf), in alcuni casi affiancate da soci terzi (Gruppo Percassi, General Medical Merate) o controllate da fondi di private equity (Project Informatica), anche a seguito di operazioni di delisting (Polynt) oppure quotate (Brembo, Ivs Group, Sebino).

«L’Europa spinge le imprese ad applicare i criteri Esg, ma tra i tre pilastri - ambiente, sociale e governance - è proprio da quest’ultima che bisogna partire se si vuole che le scelte aziendali possano avere un impatto anche sugli altri due aspetti», sottolinea il vicepresidente di Confindustria Bergamo, Marco Manzoni, senza contare che un buon modello di governance dà maggiori garanzie di continuità aziendale.

Le motivazioni alla base della scelta di cessione o acquisizione sono diverse. C’è chi crea partnership con operatori stranieri per accedere a nuovi mercati di sbocco, o per condividere tecnologie, o anche per valorizzare competenze specialistiche o di nicchia. C’è poi chi apre il proprio capitale a un soggetto aggregatore per beneficiare dell’appartenenza a una particolare filiera del made in Italy e chi, invece, sbarca in Borsa per finanziare lo sviluppo aziendale. Ma c’è anche chi apre a un gruppo per beneficiare della sua struttura commerciale, di tecnologie o di economie di scala. Non da ultimo c’è chi, di fronte a un passaggio generazionale, fa M&A per assicurare la continuità aziendale.

«Confindustria darà ai suoi associati un aiuto “sartoriale”, studiato in base alle esigenze della singola azienda», dice Manzoni. Intanto lo studio di Kpmg ha permesso già di stilare un vademecum dell’M&A di successo. «Il primo passo è strutturare la governance - afferma Fiani - ma bisogna anche avere una visione strategica che permetta di non fermarsi ad acquisizioni episodiche, fare attenzione a investire tenendo conto dei rischi geopolitici, avere un team dedicato, guardare alla creazione di valore industriale, più che al prezzo, e curare anche il post-deal». Dall’esperienza di due professionisti bergamaschi, Emanuele Cortesi dello Studio Caffi-Maroncelli e associati e Giorgio Berta dello Studio Berta, Nembrini, Colombini e associati, emerge una costante: «Le statistiche dicono che le aziende più fragili tendono a vendere, mentre quelle con una governance più preparata tendono a fare acquisizioni». «Strutturare la governance conviene - aggiunge Manzoni -: tra i vantaggi anche una maggiore facilità di accesso al credito».

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