Pensioni donne, al vaglio quattro mesi di anticipo per figlio

La proposta. La possibilità per le donne di andare in pensione con quattro mesi di anticipo per ogni figlio: un sconto sull’età di accesso che varrebbe su tutte le forme pensionistiche e anche per le lavoratrici che sono nel sistema misto.

È una delle ipotesi al vaglio del governo e che potrebbe prendere forma nella prossima riforma previdenziale, estendendo quanto già previsto dalla riforma Dini del 1995 che però riconosce l’anticipo (e nel limite massimo di dodici mesi) solo per chi è totalmente nel sistema contributivo. Quattro mesi di anticipo equivarrebbero a 700 milioni di spesa in più. La novità per la «valorizzazione della maternità» è emersa al tavolo al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali tra il sottosegretario Claudio Durigon e Cgil, Cisl, Uil e Ugl, poi seguito dall’incontro con le imprese, tutto dedicato al tema dei giovani e delle donne. Tappa del percorso che punta a chiudere la riforma complessiva del sistema, come già indicato dalla ministra Marina Calderone, entro giugno.

Resta l’impegno, intanto, a rivedere Opzione donna, su cui però rimane aperta la questione coperture e per questo vanno avanti i contatti tra ministero del Lavoro e Mef. Su Opzione donna il range di opzioni possibili va dall’ipotesi massima di ritornare alla versione precedente a quella minima di intervenire su alcuni paletti. I sindacati spingono per tornare alla versione pre-manovra, con l’età di uscita per le donne a 58 anni se dipendenti e 59 anni se autonome e con 35 anni di contributi. L’ultima legge di Bilancio per quest’anno ha lasciato i contributi a 35 anni ma ha alzato l’età a 60 anni, che viene ridotta di un anno per ogni figlio nel limite massimo di due anni (quindi a 59 anni con un figlio e 58 anni con due o più figli), e per tre categorie di lavoratrici: caregiver, invalide al 74%, licenziate o dipendenti da imprese in crisi.

Solo in quest’ultimo caso, la riduzione a 58 anni è automatica. Con una platea potenziale ristretta a circa 2.900 lavoratrici.

Occhi puntati anche sui giovani e sul loro futuro previdenziale: tra carriere discontinue e il rischio di non avere assegni dignitosi, i sindacati chiedono da tempo l’introduzione di una pensione di garanzia (e in generale l’uscita da 62 anni). C’è l’apertura del governo, viene riferito, a ragionare su una integrazione al trattamento minimo per chi ha contributi solo dopo il 1995. Nella stessa direzione la possibilità di eliminare o ridurre il vincolo minimo di 1,5 volte l’assegno sociale per accedere alla pensione di vecchiaia nel contributivo.

«Ci aspettiamo risposte. Bisogna passare dalle dichiarazioni ai fatti», afferma il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri. La Cgil con il segretario confederale Christian Ferrari parla di «incontro interlocutorio, deludente: non abbiamo ricevuto alcuna risposta». La Cisl, con il segretario confederale Ignazio Ganga, rimarca l’impegno «per rendere il sistema più equo e socialmente sostenibile attraverso una riforma strutturale» della legge Fornero. «A breve dovrebbe arrivare la riformulazione di Opzione donna. Difficile, però, la semplice riproposizione di quella passata», afferma il segretario generale dell’Ugl, Paolo Capone. Al momento non ci sono già altri appuntamenti fissati.

In arrivo da marzo, fa intanto sapere l’Inps, la rivalutazione rispetto all’inflazione anche delle pensioni oltre quattro volte il minimo (sopra i 2.100 euro circa), con gli arretrati. Chi ha un reddito da pensione fino a quattro volte ha già ricevuto l’assegno maggiorato del 7,3% da gennaio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA