Quel caos applicativo dei contratti a termine. «Contenziosi in vista»

LA CRITICITÁ . Il Decreto lavoro doveva semplificare ma metà dei 55 Ccnl manca delle causali e attivazioni. Tiraboschi: «Intesa tra le parti sblocchi la situazione».

Con il Decreto lavoro del 1° maggio scorso, il governo intende affidare alla contrattazione collettiva di qualunque livello il controllo delle assunzioni con contratti a termine superiori ai 12 mesi. Una valutazione idealmente corretta che nella pratica dei fatti, però, si traduce in un caos applicativo che richiederà anni per essere normalizzata.

Lo studio

Secondo uno studio Adapt, l’Associazione Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del lavoro e sulle Relazioni, infatti, rivela che su 55 Contratti collettivi nazionali del lavoro (Ccnl) la metà è sprovvista di causali o condizioni per attivare questi contratti. E non si tratta di settori marginali ma dei contratti nazionali dell’industria metalmeccanica, della logistica, dei trasporti e il contratto del terziario, distribuzione e servizi. «La questione è spinosa e non deve meravigliare che la contrattazione nazionale non contenga specifiche discussioni circa l’uso dei contratti a termine, - spiega il bergamasco Michele Tiraboschi, docente di Diritto del lavoro all’ Università di Modena e Reggio Emilia, che aggiunge - È un tema che è stato soggetto negli ultimi anni a continue riforme, perché politicamente interpretato come una trappola a discapito del lavoro indeterminato o una soluzione contro il lavoro nero». Solo il 45,5% dei Ccnl analizzati dal report prevede espressamente delle ipotesi per la stipula di simili contratti, per tutti gli altri il punto di non ritorno sarà il mese di aprile 2024, quando scadrà la possibilità di rinnovare i contratti a termine attraverso un accordo tra le parti individuali.

Lo scenario che si prospetta, secondo Tiraboschi, è di due tipi: «Da una parte si restringerà la possibilità di utilizzo dei contatti a termine, dall’altro potranno nascere più contenziosi rispetto alla loro applicazione». Un esempio lo fornisce il settore logistica che presuppone nella contrattazione nazionale l’utilizzo e il rinnovo del contratto a termine solo in caso di opere definite e predeterminate del tempo o per l’esecuzione di particolari servizi che per la loro specificità richiedano l’impiego di professionalità diverse da quelle impiegate. «Chi definisce quali siano questi progetti specifici è uno dei punti caldi della questione» spiega Tiraboschi.

Le sostituzioni del personale

Non solo, nel calderone del problema rientrano anche tutte quelle sostituzioni di personale che, pur partendo inferiori all’anno, superano i 12 mesi per effetti di rinnovi, così come i contratti di somministrazione delle agenzie, molto usati anche in Bergamasca, che devono allinearsi alle contrattazioni nazionali. Uno dei settori più toccato sicuramente il terziario, come spiega il professore: «Il contratto nazionale del commercio è fermo dal 2015 e interessa 800 mila imprese in Italia e non è realistico che si possa arrivare a una nuova contrattazione che includa i contratti a termine in meno di un anno».

Una delle soluzioni possibili, secondo Tiraboschi, è il raggiungimento di un accordo interconfederale fra le parti in causa che colmi provvisoriamente la lacuna, altrimenti, senza possibilità di rinnovo, a fare da padrone sarà un ulteriore incremento del turnover che non aiuta né i lavoratori né le aziende. Rispetto alla possibilità che questa situazione agevoli le assunzioni a tempo indeterminato, infatti, Tiraboschi conclude: «Stime Istat dimostrano già che sono maggiori le assunzioni a tempo indeterminato e stanno calando quelle a termine, come è vero che un contratto a termine è sempre meglio dell’abuso di oltre 400 mila tirocini simulati in Italia ogni anno, o contratti di apprendistato che non formano, per non parlare del lavoro nero. Ma non è questo il tema che risolve il problema della mancanza di personale - conclude il professore -. Alle aziende serve qualità per fare previsioni nel tempo e offrire nuovi servizi e le statistiche ci dicono che i lavoratori vogliono gestire meglio il proprio tempo, piuttosto che avere orari più restrittivi».

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