Abbattuti tutti i tabù
I 5 Stelle sono un partito,
buona notizia con un ma

Non siamo un partito, non siamo una casta, siamo cittadini, punto e basta!». Così recitava l’inno dei 5 Stelle delle origini. Scordiamocelo. D’ora innanzi dovranno cantare: «Siamo un partito, siamo una casta, non siamo più cittadini e basta!». L’hanno deciso questa settimana con un atto ufficiale. L’approvazione del «2 per mille» sulla nuova piattaforma online equivale, infatti, alla certificazione che il M5S è diventato un partito. Lo prevede la legge sul finanziamento pubblico dei partiti, e solo dei partiti. S’è consumata in tal modo con i crismi dell’ufficialità quella normalizzazione che nei fatti era già avvenuta. Com’altro chiamare un movimento che si è dotato di un presidente, di cinque (non si sono accontentati di uno) vicepresidenti, di un garante, di un comitato di garanzia, del consiglio nazionale, del collegio dei probiviri, della scuola di formazione, se non con il nome di partito?

Chiamatela come volete la svolta attuata: evoluzione, maturazione o viceversa capriola, tradimento. La sostanza non cambia. È finito il «Vaffa». Sono state definitivamente archiviate le rivendicazioni della prima ora: uno vale uno, democrazia diretta, decrescita felice, no alla Ue e alla Nato, feeling con Russia e Cina, solidarietà con i no vax, giustizialismo, per finire con il no alle alleanze e al no (prossimamente) al terzo mandato.

Quando poi tentano di tenere in vita pratiche fedeli ai loro principi originari, per esempio il ricorso alla democrazia digitale, più che un atto di coerenza, pare una messa in scena che serve a dissimulare la sua elusione. Il testo sottoposto agli iscritti per il «2 per mille» ha evitato accuratamente di usare la parola proibita di partito. Alla fine, con l’esercizio della democrazia diretta che, secondo i postulati del pensiero grillino è la sola che legittima, si è adottata una decisione emanata da un corpo elettorale di appena 24.000 votanti, vale a dire di un quarto degli iscritti. Siamo a distanza di anni luce dai più di 10 milioni di «cittadini» che li hanno mandati in Parlamento. È questa la democrazia diretta? Con buona pace di chi ha sottoscritto le rivendicazioni di conio antipolitico e antisistema delle origini, l’abbattimento dei tabù cari al movimento del 2013 deve essere considerato comunque una buona notizia per la salute della democrazia.

Significa che non sono stati i barbari a conquistare Roma, ma questa a romanizzarli. Fuor di metafora, equivale a dire che la democrazia spunta le armi ai suoi nemici e, solo che questi accettino di inserirsi nelle sue istituzioni, spunta loro le armi e li assimila. Era già successo ai socialisti che volevano «impiccare con le budella dell’ultimo Papa l’ultimo re» e hanno finito col divenire, per nostra fortuna, uno dei pilastri della democrazia parlamentare. Stesso destino toccato ai comunisti che volevano «fare come in Russia» e col tempo si sono riappacificati con l’Occidente capitalistico.

C’è un ma, però, e piuttosto grande. I partiti storici della sinistra hanno impiegato vari decenni, quasi un secolo, a smaltire le loro velleità sovversive, a integrarsi con le istituzioni democratiche e a interiorizzarne i valori. I 5 Stelle invece hanno fatto tutto in gran fretta e con grande disinvoltura. È bastato loro meno di una legislatura. Il risultato è che, mentre socialisti e comunisti hanno condotto sulla sponda della democrazia praticamente l’intero loro popolo, i grillini hanno perso per strada la gran parte dei loro affiliati. In altre parole, l’esercito del «Vaffa» ha disconosciuto la svolta. Resta intatta quindi la riserva degli scontenti della democrazia, pronti a impugnare di nuovo le armi al grido «morte alla casta» quando un nuovo movimento populista darà loro voce. Auguriamoci di no: uno ci è bastato.

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