Anac, scade
il mandato
Nessuno se ne cura

Domani, 14 luglio, scade il mandato di sei anni dei commissari dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) e il silenzio regna sovrano. Il rinnovo delle cariche non interessa nessuno. Da quando si è scoperto che l’Autorità è indipendente e quindi non risponde ai partiti, la politica si è disamorata. Il ruolo svolto dall’istituzione per permettere ad Expo 2015 di portare a termine i lavori in sicurezza da infiltrazioni mafiose è stato decisivo per l’immagine del Paese. La presenza del crimine organizzato è talmente pervasiva sul territorio da rendere ogni opera pubblica possibile preda delle mafie. È di questi giorni la notizia del Financial Times di bond legati a imprese della ’ndrangheta calabrese venduti sul mercato internazionale. Si trattava in verità di cartolarizzazioni ma il messaggio è devastante. Anche la mafia dunque può essere presente nell’economia legale. Ed è mafia italiana. E questo spiega la diffidenza di molti Paesi europei verso l’Italia. Nella visita compiuta all’Aja, il primo ministro italiano Conte ha dovuto sorbirsi la lista delle cose da fare prima di poter superare i dubbi degli olandesi e dei Paesi scettici verso il piano straordinario di aiuti varato dalla Commissione Europea.

Permettere agli altri di mettere naso nelle vicende italiane rende evidente una vulnerabilità. L’inazione del governo italiano teso a procrastinare tutto ne è l’espressione. La necessità stringente di ripartire con l’economia costringe ad abolire le gare sotto i 150 mila euro. Nel 2019 le amministrazioni comunali sciolte per mafia sono 21, alle quali vanno aggiunte le 26 proroghe di precedenti scioglimenti. Un record a partire dal 1991, anno nel quale fu istituita la legge che disciplina la materia. Senza contare gli otto recidivi, ovvero amministrazioni comunali sciolte per più volte a conferma che la presenza sul territorio delle organizzazioni criminali è radicata. L’affidamento diretto dei lavori è l’asso nella manica se si tiene conto che il 53% degli appalti pubblici è sotto la soglia dei 150 mila euro. Si guardi il Comune di Maniace in provincia di Catania che i giornali in questi giorni danno sciolto per infiltrazioni mafiose appunto in ragione degli affidamenti diretti di lavori pubblici. I denari che vanno nelle casse delle mafie sono degli italiani che pagano le tasse e potrebbero essere dei contribuenti europei che sostengono il Recovery Fund.

Questo spiega il disagio dell’opinione pubblica europea. Non sono solo i cosiddetti Paesi frugali a opporre resistenza. Vi sono elettori scossi dalla pandemia nel vecchio continente pronti a risvegliarsi qualora vedessero i soldi da loro versati per gli aiuti finire negli scandali che segnano la vita pubblica italiana. Ecco perché ci si aspetterebbe un potenziamento dell’Anac, strumento di legalità e scudo contro il male endemico del Paese.

Secondo le stime del Fondo monetario internazionale il prodotto interno lordo crolla nel 2020 dell’11% e quindi la parola d’ordine è velocità. Nella fretta di dare un segnale di ripartenza i controlli sulla legalità possono diventare un ostacolo. In un Paese dove il senso civico è norma comune non vi sarebbe contraddizione ma in Italia il bene pubblico è costantemente sotto assedio. Ignorare la corruzione come male endemico del Paese si spera possa dare un aiuto al Pil. L’Italia dell’industria, della concorrenza, del libero mercato, dei lavoratori, delle professioni, dell’accademia dovrebbe dare un segnale e imporre un dibattito pubblico. Perché siamo l’anello debole d’Europa? Solo colpa del Covid-19? Uscire dall’illusione che siano gli altri a pagare per i nostri errori è la vera emergenza nazionale.

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