Chi pacifica
e chi incendia

Venerdì 15 ottobre vedremo come gli italiani reagiranno all’obbligo di esibire il green pass nei posti di lavoro pubblici e privati. Veniamo da giornate di disordini di piazza, e altri se ne prevedono purtroppo, mentre molti, obbedendo ad una specie di tic nazionale, prevedono il «rischio caos», temono la paralisi di porti e caserme, e non manca chi – anche qui come vuole il copione – chiede proroghe e rinvii: «Il Paese non è pronto», ci si allarma, dimenticando che l’obbligo è stato deciso con un mese d’anticipo. Vedremo. È probabile che molte previsioni catastrofiche vengano smentite dai fatti, che le cose procedano decentemente, salvo qualche caso. Del resto, ricordate quando il Viminale mandò un vero e proprio esercito in tenuta anti sommossa a proteggere stazioni e binari da una annunciata occupazione dei no vax che si rivelò un fiasco colossale?

Questo non vuol dire sottovalutare lo sbandamento che stiamo subendo. Siamo ancora alle prese con le conseguenze di quei disordini che hanno ferito la nostra convivenza: l’irruzione nella sede della Cgil da parte dei neofascisti ha sinistramente riportato alla mente l’assalto alle Camere del Lavoro degli anni ’20, e la devastazione del pronto soccorso del policlinico romano è stato quanto di più ignobile si possa pensare, anche se certo non si è rivelato un caso isolato. I disordini di Milano provocati dai centri sociali dell’estrema sinistra «rivoluzionaria» ci hanno ricordato che questo brivido rabbioso non percorre solo la Capitale, il cuore politico del Paese.

E’ preoccupante che si sta tentando una saldatura tra le pulsioni del popolo del malcontento che si esprime fondamentalmente nel rifiuto superstizioso del vaccino e in quello presuntamente libertario del green pass, con le azioni di squadracce di estremismo violento, facinoroso, eversivo, sia nero che rosso. Qualcuno, tra i politici, mette l’accento di più sul nero, altri sul rosso, e ognuno tira l’acqua al proprio mulino, ma l’osservatore distaccato capisce che sono l’uno lo specchio dell’altro, entrambi pericolosi per la nostra pacifica convivenza non perché davvero estesi nella società italiana ma perché stanno tentando appunto di mettersi alla testa di questa confusa, disordinata (ma quella sì vasta) ondata di disagio sociale, di rivolta contro la scienza «ufficiale», contro la presunta «dittatura sanitaria» quando non contro un fantasioso «Stato di polizia»; un rancore che si abbevera al pozzo avvelenato dei social e con cui si cerca di reagire a stati di effettivo impoverimento, di marginalizzazione sociale ed economica, di paura del futuro. E’ significativo che mentre le imprese si dichiarano fiduciose sulle prospettive di ripresa, le famiglie restino in larga parte pessimiste.

Se gli estremisti si appropriano della protesta, come stanno tentando di fare aizzandola e incendiandola, allora sì che c’è un pericolo. Anche perché questa politica così infragilita fatica a trovare la forza morale per guidare il Paese oltre il difficile passaggio post pandemia. Da questo punto di vista sorprende molto l’accusa, lanciata verso la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, di aver agevolato i disordini di Roma per favorire la sinistra nella campagna elettorale per le amministrative. Giorgia Meloni è arrivata a parlare di «strategia della tensione» che il governo starebbe perpetrando: un’accusa pesantissima che appare ingenerosa soprattutto a chi ha vissuto e ricorda gli insanguinati anni ’70, quelli appunto della «strategia» che veniva da forze oscure e anti-repubblicane.

Ciò che serve oggi è un atto di pacificazione nazionale, di concordia, di indirizzo ad un Paese stanco da due anni di pandemia, di dolori, di sacrifici. Al netto dell’arbitrarietà di tutti i paragoni storici, torna alla memoria la figura di Alcide De Gasperi, il «presidente della Ricostruzione» del Dopoguerra, per capire quale dovrebbe essere la missione della politica oggi. Fortunatamente sappiamo che anche in questa classe partitica ci sono delle energie che devono emergere e che comunque verranno chiamate alla prova allorché sarà terminata la preziosa opera di guida che sta assolvendo un «tecnico» di riconosciuto prestigio internazionale e di grande dirittura come Mario Draghi.

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