Comunali Pd e 5 Stelle
Coalizione in un limbo

È difficile non vedere nelle difficoltà con cui i partiti del «centrosinistra» stanno affrontando le amministrative di ottobre lo specchio di una coalizione che non nasce ma nemmeno muore e sembra destinata restare in un limbo. Tale è in effetti la condizione dell’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, alla fine il candidato sindaco a Roma di Enrico Letta e del vertice democratico. La vera carta da giocare sarebbe stata quella di Nicola Zingaretti, sicuro vincitore della competizione per la Capitale, bloccato però dai veti del M5S e dalla ricandidatura di Virginia Raggi. La quale, nonostante le critiche feroci rivoltile dai suoi stessi compagni in questi anni per la sua inadeguatezza, è riuscita a farsi confermare nel ruolo di campionessa ufficiale del movimento. Risultato: Gualtieri, un tecnico più che un politico, poco dotato di empatia e di carisma, dovrà fare una campagna elettorale un po’ contro la Raggi e un po’ no, nella speranza di ricevere i voti grillini qualora il Pd andasse al ballottaggio contro il centrodestra.

Quindi: la coalizione non si è formata, il candidato di tutti non c’è, la battaglia si combatterà «tra alleati» nella più totale ambiguità, e il rischio per il centrosinistra è di lasciare il passo al centrodestra. Anche perché a togliere voti alla sinistra ci sarà Carlo Calenda, candidato isolato ma non debole, che potrà fare una campagna dura contro i disastri amministrativi della Raggi, aspra contro un Pd che non sa che pesci prendere e ad alzo zero contro la destra appesantita in città dai ricordi giudiziari lasciati dalla vecchia giunta Alemanno. E non sono impossibili sorprese.

Situazioni analoghe si troveranno a Torino dove il M5S ha già chiarito che non voterà mai uno del Pd, e anche a Milano grillini e democratici andranno da soli, se non altro perché al loro interno si scontrano posizioni diverse sul da farsi. Forse a Napoli, così almeno dice Di Maio, si potrebbe arrivare ad una candidatura di coalizione (il presidente della Camera Roberto Fico), ma non è detto.

Difficile allora non riportare a livello nazionale questa frastagliata situazione locale. La scena infatti si ripete. La coalizione tra democratici e grillini, su cui Zingaretti aveva giocato tutte le proprie carte e che Letta prova ad interpretare in modo meno appiattito, è una cosa alla quale pochi credono nonostante se ne capisca la necessità. Oltretutto c’è un M5S sempre sul punto di esplodere: da giorni si sta aspettando che maturi la scissione dei seguaci di Alessandro Di Battista (una trentina di parlamentari, molti dei quali già espulsi per varie ragioni, non ultime quelle contabili) mentre la leadership di Giuseppe Conte appare debole (su Roma non è riuscito ad imporre alla Raggi di ritirarsi e ai grillini locali di appoggiare Zingaretti) e infuria la polemica anche giudiziaria con Casaleggio Jr e la sua «piattaforma Rousseau». Insomma: lì dentro non è chiaro chi comandi, posto che qualcuno comandi, e avere a che fare con mille correnti non è per Letta un’impresa agevole. Il segretario si ritrova con un «alleato» inafferrabile e contemporaneamente con un Draghi che non si fa «annettere» dal Pd. Insomma, a via del Nazareno sono alle prese con problemi non facili.

Nel centrodestra paradossalmente la situazione è più chiara: ci sono due partiti e due leader in accesissima disputa per la primazia. Salvini e Meloni da mesi non si mettono d’accordo sui candidati sindaci ma piano piano ci riusciranno, c’è da giurarci: su Bertolaso a Roma, ad esempio, Giorgia Meloni ormai si è convinta, semmai deve riuscire a convincere l’ex capo della Protezione Civile a scendere in campo. Simile la situazione a Milano con l’ex sindaco Albertini. Perché nel centrodestra da anni ormai hanno imparato la lezione: si può litigare tutto l’anno ma cinque minuti prima delle elezioni bisogna smettere.

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