Conte, dubbi da chiarire
Opposizione all’attacco

In un clima di grande incertezza è cominciata la «verifica» di Governo. Giuseppe Conte ha riunito a Palazzo Chigi prima i suoi scopritori grillini, a cominciare da Luigi Di Maio, e poi i suoi «alleati» del Partito democratico. Oggi toccherà a Matteo Renzi, e solo quando l’ex premier sarà uscito dallo studio del suo successore potremo capire se il suo è stato un bluff oppure no. Già, perché non è chiaro cosa voglia fare davvero Renzi minacciando di tirarsi indietro dalla maggioranza qualora Conte non faccia cambi sul progetto di cabina di regia per il Recovery Plan: un progetto che, a giudizio di Italia Viva (ma anche del Pd) consegnerebbe troppo potere a Palazzo Chigi. Peraltro la polemica verso l’«autocrazia» contiana c’era già, e molto forte, sia nel Pd che nel M5S e Italia Viva ha, per motivi suoi, gettato il cerino acceso su una pozzanghera di benzina.

A condire questa gigantesca insalata di chiacchiere e polemiche, la salsa apprezzatissima del «rimpasto», ossia di un ipotetico giro di poltrone ministeriali che potrebbe soddisfare gli appetiti di partiti e correnti finora insoddisfatti. Naturalmente l’argomento è rigettato con sdegno sia da Renzi che dal Pd («rimpasto: parola orribile» sentenzia il primo consigliere di Zingaretti, Goffredo Bettini, vecchio boss della sinistra romana). Oltretutto il M5S si rifiuta persino di parlarne. Però di potere si parla: quello sul Recovery è enorme, e per un partito non poter mettere bocca sui progetti da presentare a Bruxelles equivale ad una dichiarazione di impotenza, e nessuno se lo può permettere.

Il problema, per i partiti di maggioranza, è che questa discussione cade nel momento peggiore possibile: si sta per trascorrere un Natale in semi-lockdown, non è possibile fallire nell’organizzazione della gigantesca campagna vaccinale, occorre far fronte alla crisi economica ed occupazionale e spendere – appunto – i 209 miliardi che ci vengono dall’Europa. Tutti gli alleati esteri temono i ritardi e le contorsioni italiane che potrebbero mettere in crisi l’impianto stesso del piano europeo: ieri il ministro degli Esteri olandese è sbarcato a Roma per ricordarci che la Commissione ha il potere di chiudere i cordoni della borsa se non presentiamo progetti compiuti e definiti e non solo semplici promesse di riforme e realizzazioni. Insomma, ci tengono d’occhio, e nulla può indisporre di più i partner di una crisi di governo che apparirebbe quantomeno bizzarra, un unicum continentale. Mattarella la pensa allo stesso modo: piuttosto, meglio tornare a votare.

In tutto ciò, il centrodestra – anche grazie alle difficoltà della maggioranza – ha ritrovato la propria unità. Tant’è che i tre partiti hanno presentato proposte comuni di modifica della legge di Bilancio. Uniti ma non senza difficoltà intendiamoci: gli ammiccamenti di Berlusconi a Conte sono storia più che recente come l’improvvisa apertura al dialogo da parte di Salvini («proprio non lo capisco» ha detto Giorgia Meloni), e tuttavia l’opposizione avverte che le divisioni nel governo possono aprire per essa uno spazio di manovra, una faglia in cui inserirsi. I sondaggi non hanno mai tradito i tre leader: tutti concordano sul fatto che il centrodestra è stabilmente maggioranza nell’elettorato (e oltretutto se resta la legge elettorale vigente, non potrà che avvantaggiarsene) e quindi l’avvicinarsi di un redde rationem a Palazzo Chigi acuisce il senso dell’attacco imminente. A meno che, naturalmente, non sia tutto un bluff di Renzi per ottenere qualche risultato di immagine o di sottogoverno. A meno che, ancora, la situazione della pandemia non torni ad essere così seria - Germania docet - da trasformare agli occhi degli elettori la cosiddetta verifica di governo in insopportabile avanspettacolo.

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