Cresce l’antisemitismo. Parte da noi la risposta all’infezione che serpeggia

MONDO. Scritte e graffiti sui muri. Pietre d’inciampo imbrattate. Stelle di David e svastiche su case e negozi, come quelle scoperte nel ghetto di Roma.

Furti di oggetti sacri, come la «Mezuah», la pergamena sulla quale sono scritti passi della Torah, sottratta a un rappresentante della comunità ebraica milanese. Slogan nazifascisti nelle curve degli stadi o alle manifestazioni. Il rigurgito dell’antisemitismo, successivo alla strage di Hamas in Israele e ai bombardamenti su Gaza, è impressionante. Dallo scorso 7 ottobre al 31 dicembre sono arrivate all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori 200 segnalazioni. Lo scorso anno, nello stesso periodo, erano 17. «Sicuramente il conflitto israelo-palestinese ha determinato eventi di antisemitismo e discriminazione», ha commentato il capo della Polizia, Vittorio Pisani, alla Commissione parlamentare per il contrasto all’intolleranza, al razzismo ed all’antisemitismo. Lo stesso Pisani consiglia «un intervento culturale diffuso per sensibilizzare sull’antisemitismo», con un’attenzione particolare all’ambiente universitario.

Non si tratta di un fenomeno italiano ma occidentale, perché arriva fino agli Stati Uniti. In Francia, il Paese più colpito, si sono registrati oltre 2mila episodi di vario tipo, come ha denunciato il ministro degli Interni Gérald Darmanin, con oltre 400 inchieste giudiziarie già avviate. Ma ci sono stati lanci di bottiglie incendiarie lanciate su una sinagoga in Germania, un cimitero ebraico profanato in Austria, negozi e sinagoghe attaccati in Spagna. Ancora una volta, la paura si è impossessata delle comunità ebraiche. Si parla addirittura di neo-antisemitismo, la riedizione di una spirale d’odio che ha attraversato il ‘900 e che viene da lontano. «Stiamo assistendo alla glorificazione morale del pregiudizio contro gli ebrei», ha commentato Andrea Molle, studioso italiano del fenomeno: «Un livore che cova da anni e non è certamente la sola conseguenza degli eventi di cronaca». Un segnale di questo odio montante è anche la rimozione dei poster affissi in molte città europee con gli ostaggi in mano ad Hamas, come nei pressi del cimitero ebraico di Praga. Per non parlare delle manifestazioni che intonano slogan contro gli ebrei un po’ in tutta Europa, a partire dall’Ungheria.

L’odio antisemita ha diverse radici, a cominciare da quella dei naziskin, nostalgici del regime di Hitler. Vi è poi un atteggiamento culturale e sociale che riguarda più la Francia, frutto del fallimento dei processi di integrazione, di matrice islamica ma soprattutto legata all’alienazione delle banlieue. Ma quello che forse fa più paura è questa sorta di pulviscolo razziale diffuso di antisemitismo, di cui è preda anche la gente comune, che ammanta i «social» legato a quel pregiudizio «complottista» duro a morire. Ma la fine dell’antisemitismo, come ha recentemente ricordato il cardinale Zuppi, presidente della Cei, «è un impegno educativo, religioso e civile che non sottovaluta i rigurgiti di odio e razzismo, per chiunque». Un impegno che riguarda ciascuno di noi e che parte dalle scuole. Nella consapevolezza che, come scriveva Primo Levi, «la peste si è spenta, ma l’infezione continua a serpeggiare».

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