Criminalità mafiosa
Cambiare strategia

Dopo «l’infezione sanitaria del virus» seguirà «l’infezione finanziaria mafiosa». Ce lo dice l’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia (Dia), che mette in evidenza come le grandi organizzazioni mafiose, in possesso di una liquidità sconfinata, si stiano muovendo in questi giorni «attraverso forme di assistenzialismo con l’obiettivo di fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti». C’è da contemplare il rischio che «queste organizzazioni abbiano tutto l’interesse a fomentare episodi di intolleranza urbana, strumentalizzando la situazione di disagio economico per trasformarla in protesta sociale con l’obiettivo di far crescere la rispettabilità del mafioso sul territorio e di generare un credito da riscuotere come pacchetti di voti in occasione di future elezioni».

A preoccupare non poco è l’incremento delle infiltrazioni mafiose nella Pubblica amministrazione, visto che sono stati chiusi per mafia ben 51 enti locali e si teme che lo snellimento delle procedure previsto dal governo per accelerare gli appalti possa fornire notevoli opportunità alle organizzazioni criminali. In tale ottica, replicare quanto avvenuto per il ponte Morandi potrebbe rappresentare un esempio da seguire. Emerge altresì l’esigenza di rafforzare da subito il ruolo dei prefetti, con l’attribuzione di nuove risorse e nuovi poteri, così come quella di realizzare un maggiore coordinamento tra Carabinieri, Polizia e Guardia di Finanza in funzione di monitoraggio e prevenzione di ogni prevedibile iniziativa mafiosa.

La relazione della Dia mette poi in evidenza come all’aumento della circolazione di capitali provenienti da attività illecite non corrisponda un correlativo aumento di segnalazioni di «operazioni sospette» da parte degli operatori finanziari (banche e altri intermediari) e non finanziari (commercialisti, notai, orefici ecc.). Al riguardo, si sollecita una svolta significativa che appare tuttavia di complessa percorribilità. Sono molti, infatti, i casi in cui le banche, piuttosto che segnalare operazioni sospette preferiscano non porle in essere, non solo per tenere lontani clienti pericolosi, ma anche per evitare di essere implicate in successive indagini che, divulgate dai media, potrebbero determinare gravi danni d’immagine. È inoltre convinzione diffusa tra i professionisti e gli altri operatori non finanziari che la segnalazione di tali operazioni rappresenti una denuncia del cliente alle autorità competenti con conseguente compromissione del loro rapporto di fiducia.

Dopo così tanti anni di convivenza e «connivenza» con fenomeni mafiosi, il persistente enunciato di un inasprimento di ogni tipo di intervento repressivo ha oramai perso ogni credibilità, generando nell’immaginario collettivo la foto di uno Stato poco autorevole, ricco di chiaroscuri e di lassismo. Un cambio di marcia è ancora possibile ed è urgentissimo. Si tratta di fare quadrato tutti insieme, ad ogni livello di responsabilità istituzionale, attorno ad una nuova strategia di lotta alla criminalità attraverso una provvista di dati affidabili che dia la possibilità di misurare i profitti delle mafie, gli indici della loro presenza nei vari territori e nei diversi settori di attività economica. Si darebbe così scacco «quasi matto» a quell’intreccio di torbidi interessi che espone oggi politici e amministratori, anche quelli mossi in partenza da buone intenzioni, al ricatto dei vari portatori di interesse. All’Italia serve come il pane una nuova strategia politica incentrata sulla ricostruzione di un solido sistema dei partiti, che sia in grado di soddisfare il dettato costituzionale di organizzazione della vita democratica e di selezione della classe dirigente. Perché, alla fine, l’uovo di Colombo è sempre è solo lì: nella selezione di una classe esemplare che non lavori per sé stessa.

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