Da patria a confini, le parole (in)attuali

Il commento. Ha destato polemiche la delibera della Giunta comunale di Bologna a guida Pd che uniforma i sottotitoli di cartelli in un’ottantina di vie dedicate a persone che lottarono contro i nazifascisti per la liberazione dell’Italia. D’ora in poi a qualificare il loro nome ci sarà scritto solo «partigiano» o «partigiana». Spariscono le definizioni «patriota del secondo risorgimento» e «patriota».

Gli storici però hanno rilevato come nei documenti ufficiali della Seconda guerra mondiale i resistenti sono definiti (e si definivano) patrioti. I Gap ad esempio erano i Gruppi d’azione patriottica. Ma nell’Italia governata dai sovranisti ci sono termini che possono risultare equivoci, soprattutto nella Bologna tradizionalmente di sinistra. A questa ambiguità invece si è sottratto fra gli altri Corrado Augias, intellettuale appartenente a quell’area politica, per il quale «la parola patriota è bellissima».

Ma qui non è in discussione l’interpretazione personale delle parole, il significato soggettivo che possono assumere a seconda delle inclinazioni politiche o delle sensibilità. Semmai andrebbero storicizzate, calate nelle epoche di riferimento preservandole dai venti del tempo. E contestualizzate: sarebbe buona abitudine quando si giudicano le vicende del mondo provare a sospendere il nostro sguardo e la cultura occidentale contemporanea che ci segna per immergersi, per quanto possibile, nel punto di vista degli altri. Termini come patria, nazione e confini suonano desueti quando non reazionari nella nostra epoca cosmopolita e di abitudini consolidate come poter viaggiare nell’Europa di Schengen senza più l’orpello delle frontiere o raggiungere in poche ore in aereo luoghi una volta inaccessibili. Il significato delle parole quindi andrebbe non solo storicizzato, per comprendere il valore che avevano in altri periodi, ma anche contestualizzato. Nell’Est Europa, abitato da democrazie giovani nate dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e della Jugoslavia, la storia e l’identità si ricostruiscono anche intorno alla trilogia «patria, nazione e confini» non necessariamente in un’accezione divisiva, come si sente dire spesso, ma difensiva. La frontiera è il luogo che separa se stessi da terre di imperialismi ambiziosi e minacciosi. La Bosnia fu dilaniata dai miti criminali della Grande Croazia e della Grande Serbia. Sorte toccata dal 24 febbraio 2022 anche all’Ucraina, travolta dalla furiosa ideologia ultranazionalista della Grande Russia che non ne riconosce l’indipendenza. Il conflitto sarebbe stato scongiurato se i confini del Paese invaso fossero stati militarmente presidiati dall’esercito di Kiev?

Il «limes» può essere causa di guerre ma anche argine alle stesse e si presta a doppie letture, a seconda da dove lo si guarda. In nome di una pace urgente si avanzano richieste all’Ucraina perché accetti di modificare i propri confini per assecondare le richieste del Cremlino ma ciò significherebbe spostare la minaccia ancora più vicina a Kiev: richiesta legittima, diniego altrettanto legittimo se oltretutto si ricorre al metro del diritto internazionale.

L’Italia è una democrazia da 77 anni, le ex Repubbliche sovietiche da 32: l’orologio della storia non è sincronizzato sulla medesima ora nei luoghi del mondo, dove le stesse parole hanno suoni diversi. L’ex presidente della Commissione Ue Romano Prodi ha difeso la giustezza dell’allargamento dell’Unione europea a Est definendolo «l’unico esperimento riuscito al mondo di esportazione della democrazia con la democrazia». Un sistema politico desiderato dai popoli e non imposto, ancora fragile perché giovane ma che ha il diritto di fare il suo corso.

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