Ddl Zan, testo
da rivedere

Ogni legislatore ha il dovere di generare prodotti normativi che garantiscano la chiarezza del comando giuridico il quale deve risultare omogeneo ai principii dell’ordinamento e rispettoso dei relativi valori costituzionali. A tali canoni non si adegua il ddl Zan, e non a caso i resoconti parlamentari informano della proposizione di oltre 700 emendamenti. Al di là delle scelte politiche, quel che preme evidenziare è l’assoluta inadeguatezza, sul piano tecnico, della proposta legislativa in questione. La medesima, infatti, sconta un metodo redazionale incapace di fornire al cittadino criteri chiari di comportamento per evitare di incorrere in condotte illecite. In tal modo quel che viene meno è il requisito della prevedibilità ed accessibilità della legge, più volte rimarcato dalla Corte Edu quale momento fondamentale della c.d. legalità europea.

Quel che viene in gioco è la possibilità per il cittadino di poter distinguere tra ciò che è consentito e ciò che è vietato. La materia, peraltro, come noto, è presidiata anche dalla Costituzione (art. 25 comma 2).

Se questo è il perimetro entro cui deve collocarsi una fonte normativa, il ddl Zan ne costituisce una chiara esondazione. Basti pensare all’ambizioso proposito perseguito con l’art. 1 di fornire definizioni linguistiche e normative le quali dovrebbero assolvere alla funzione di orientare scelte consapevoli sul se violare o meno la norma giuridica. Tuttavia, l’indeterminatezza di quelle definizioni non soccorre allo scopo; la situazione si accentua ancor di più con riferimento alla previsione dell’art. 4 del ddl Zan, in forza del quale «sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».

In sostanza si ipotizza una forma di responsabilità a fronte di comportamenti legittimi che costituiscono diretta esplicazione del diritto costituzionale della libera manifestazione del proprio pensiero. Come dire: da una condotta lecita e consentita se ne fa derivare una forma di responsabilità. E qualora non bastasse non deve sfuggire come la responsabilità da fatto lecito e consentito consegua non al compimento di atti discriminatori o violenti ma, più semplicemente, al pericolo del loro compimento. Quindi, secondo il testo normativo in discorso, un soggetto che legittimamente esprime una suo convincimento è passibile di responsabilità se quel lecito convincimento può determinare una situazione di pericolo di futuri atti discriminatori o violenti. A prescindere dalle difficoltà di prova in sede processuale di una tale realtà, si pretende dal cittadino una dote divinatoria diretta a prevedere se un comportamento consentito possa comportare in futuro il pericolo di atti discriminatori o violenti commessi da soggetti diversi. Non si tratta di una prognosi su un evento ma su un mero pericolo di evento e cioè su un fatto futuro, non certo, evanescente nella sua interpretazione, e come se non bastasse, imprevedibile anche in ragione del fatto che trattasi di ipotetica condotta di soggetto diverso da sé.

La situazione è foriera di riflessi anche sul pronosticabile piano operativo. Non è infatti difficile immaginare come a fronte di un testo di legge dalle maglie larghe ed ancorato ad indeterminate situazioni di pericolo si assisterà ad un’interpretazione giurisprudenziale estremamente soggettiva con il probabile rischio di pervenire, a fronte di situazione concrete sovrapponibili, a differenti decisioni. Viene qui in rilievo il rischio di una «giurisprudenza creativa», con la conseguente possibile violazione dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Si tratta dell’inevitabile conseguenza del deficit di descrizione normativa del fatto punibile strutturato per di più su una situazione di mero pericolo.

Tutto ciò, occorre dirlo con fermezza, non è compatibile con i valori costituzionali e con i principii dell’ordinamento giuridico. Di qui l’auspicio di una doverosa rimeditazione legislativa.

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