Debito, Italia
malata d’Europa

Con il differenziale sui titoli di Stato tedeschi a oltre 300 punti si smette di giocare. Sino ad ieri si pensava che il deficit con il rilancio al 2,4% una copertura ce l’avesse: la necessità della Germania di non perdere l’Italia. Ma ora è chiaro che la nebulosità delle «riforme strutturali» e una spesa corrente non in calo portano al declassamento delle agenzie di rating. Il piano, a suo tempo elaborato dall’attuale ministro agli Affari europei Paolo Savona, prevede una possibile strategia di uscita dall’euro.

Ufficialmente il governo per bocca del presidente del Consiglio Conte e dei ministri finanziari non lo evoca e esprime il forte desiderio di restare nella moneta unica. Ma è evidente che la rotta tracciata porta alla collisione. Da qui le due opzioni: o i partner dell’Eurozona vengono incontro alle richieste del governo italiano oppure lo lasciano nell’emergenza finanziaria. La seconda possibilità è la più probabile.

Diversamente dalla Grecia il governo italiano non si lascerà imporre le sanzioni draconiane che hanno accompagnato la crisi di debito ellenica. Vorrà far pagare ai partner e in particolare alla Germania i costi della deflagrazione dell’eurozona. Con le ossa rotte dei suoi risparmiatori dilapidati dalla crisi valutaria ma pur sempre con il gusto di poter dire: non ho perso solo io, anche tu le hai prese. Ed è qui il crinale: è disposta la Germania a far saltare l’eurozona e con essa l’Unione Europea? L’export della Germania verso i Paesi dell’Unione Europea, secondo i dati dell’Ufficio statistico federale, ammonta per il 2017 al 58,6% di tutte le esportazioni tedesche. L’Europa resta centrale. Qual è il prezzo che i tedeschi sono disposti a pagare per mantenere questa centralità? È bene non farsi illusioni al riguardo. Il piano abbozzato a suo tempo dall’ex ministro delle Finanze Schäuble prevede l’isolamento del Paese infetto e il rafforzamento della rete economica europea circostante. Paesi come l’Olanda che ha un interscambio commerciale con Berlino superiore a quello italiano (nel 2016, 162,6 miliardi contro i 113,2 dell´Italia) non lasciano sola la Germania e lo stesso dicasi per tutta la cintura orientale: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Austria con la Finlandia a nord. Sono loro i Paesi che traggono i massimi vantaggi dalla forza dell’export made in Germany. In caso di stagnazione dell’economia tedesca, simulata al 2020, la Slovacchia avrebbe un calo del Pil dello 0,7% seguita dall’Ungheria con oltre lo 0,5% e via gli altri a seguire (vedi dati Prognos Ag 2018). Orban grida contro Merkel ma vive all’ombra tedesca. Tutto questo spiega la connivenza tombale sul superamento del limite del 6% dell’export operato dai tedeschi contro le regole dell’Ue. La Francia a sua volta si accontenta, come fa ormai da qualche lustro, di giocare il ruolo di primattore senza esserlo.

Berlino ha capito e lascia fare. In Portogallo un governo con ricette di sinistra è riuscito a superare la crisi ed è sulla via della crescita senza rompere sui conti, mentre la Spagna nel 2017 ha superato l’Italia nel Pil pro capite (dati di aprile 2018 del Fondo monetario internazionale). Difficile che entrambe si espongano a rischio contagio. È l’Italia il malato d’Europa. Metterla sul piano economico per il governo italiano quindi non può portar bene. L’unica carta a disposizione è quella politica. Ed è la partita che si sta ora giocando. Si pensa alle elezioni europee e si spera di rovesciare il tavolo. In un’Europa sovranista Salvini e Di Maio avrebbero una platea internazionale e maggior peso. Ma con quali costi per i risparmiatori? Per l’Italia anche senza Bruxelles che impone decimali, non cambia nulla: resta un Paese ad alto debito e a rischio default.

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