Democrazia
è rispetto

Mario Draghi ha detto quello che tutti pensano in Europa ma che nessuno ha il coraggio di dire. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan appartiene alla categoria degli autocrati ovvero, per usare le parole del capo del governo italiano, dei «dittatori». Da quando l’ex presidente della Bce è alla guida dell’esecutivo italiano, il baricentro dell’Unione Europea sembra essersi spostato a Roma. E non certo per il peso politico e economico di un’Italia in affanno. I mali endemici dell’economia italiana sono ancora tutti lì a dimostrare la debolezza strutturale del Paese. L’ha detto anche Draghi nella conferenza stampa di due giorni fa: non abbiamo credibilità nella spesa. E se pensiamo che una buona parte dei fondi Ue per il piano nazionale di ripresa e resilienza andranno spesi a livello regionale e comunale con una malavita organizzata che controlla ancora ampi territori, c’è di che preoccuparsi. La prima reazione dei giornali turchi è stata: «Italia mafia».

A dimostrazione che il punto debole è ancora lì e non è risolto. E tuttavia l’offesa cade nel vuoto perché il prestigio di Draghi tiene il Paese al coperto dalle insinuazioni. Il governo turco fa la voce grossa e impone il ritiro delle dichiarazioni. Dovrà ricredersi. L’aver privato la presidente della Commissione Ursula von der Leyen della poltrona prevista dal cerimoniale e quindi costretta a sedersi sul divano di fronte al ministro degli Esteri è uno sgarbo al mondo intero. Quello dei diritti umani, dell’emancipazione femminile, della necessità di far fronte alle diseguaglianze in nome del progresso civile. In breve di quella società di massa che vede nel rispetto della persona e della sua dignità identitaria la via di uscita dall’anonimato nel quale la globalizzazione, la tecnologia esasperata e ora la pandemia l’ha gettata.

È questo il messaggio che viene dai Paesi democratici e dalla loro tradizione culturale. Qui sta la loro identità. In Germania i sondaggi premiano i Verdi e non la destra di Afd, in America vi è stato uno psicodramma al limite del colpo di Stato. Joe Biden ha vinto e ha alzato la bandiera che da sempre connota la democrazia americana e alla quale noi europei dobbiamo la nostra rinascita nel dopoguerra. Libertà di pensiero, di opinione politica, di stampa sono la via occidentale alla democrazia. Mario Draghi ne ha preso il testimone in Europa. E così ha dato un segnale di consapevolezza ad un’Unione Europea timida, che non osa far arrabbiare chi alza la voce e teme di perdere clienti per le proprie imprese. Non si era mai visto una comunità politica e sociale di 18 mila miliardi di dollari di Pil come l’Ue ritrarsi davanti ai 700 miliardi di un Paese che ha come unico assist i milioni di migranti nelle sue tendopoli.

Una diga, quella turca, che se aperta inonderebbe l’Europa e della quale i politici Ue hanno orrore, per i voti che andrebbero a perdere. Così la Turchia si permette di occupare aree greche del Mediterraneo ricche di petrolio a danno di Eni e di altre compagnie petrolifere, invia soldati e armi in Libia e mette in discussione i contratti firmati da imprese italiane per la ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli. E l’Ue per premio concede agevolazioni nel commercio. Con lo schiaffo di AstraZeneca e le difficoltà di reperire vaccini la pandemia ha messo a nudo l’Unione europea nella sua intrinseca impotenza. Ankara le ha dato solo il sigillo dell’ufficialità. Delle due l’una: o i Paesi membri accettano di aumentare il potere decisionale dal basso e quindi coinvolgono i popoli nella scelta di una struttura istituzionale credibile oppure la forza disgregatrice dei singoli Stati votati a se stessi prevarrà. E a quel punto anche l’ultimo «dittatorello» al prossimo sberleffo potrà dire: c’ero anch’io.

© RIPRODUZIONE RISERVATA