Disoccupati, vince
il sistema Bergamo

Quando mercoledì 18 agosto i maggiori attori amministrativi ed economici del territorio hanno commentato questo piccolo-grande prodigio, il tasso di disoccupazione più basso d’Italia per Bergamo, si è capito che si era di fronte a qualcosa che non poteva essere spiegato solo con la straordinaria tenacia e caparbietà di un popolo di fronte alla più grande sciagura che questa terra abbia subìto da secoli. Qui c’è dell’altro. Il primato risale infatti al 2020 (per poi proseguire fino ad oggi), momento più tragico in assoluto con migliaia di lutti.

Eppure, di fronte a questa tragedia epocale, il mondo del lavoro, per cui si temeva un logico cedimento magari anche solo temporaneo, non ha mai smobilitato. Il 3% di tasso di disoccupazione, lo dicono gli esperti, è un dato praticamente fisiologico, che rivela uno stato di salute invidiabile a livello di gangli produttivi. Bergamo in passato era già andata vicino al primato nazionale, detiene da tempo quello a livello lombardo e tallonava nella speciale classifica italiana le due province leader, Bolzano e Pordenone. Paradossalmente il «sorpasso» è avvenuto nel momento più tragico, quello che vedeva gli ospedali stracolmi e quelle bare che lasciavano la città sui camion militari: nessuno ci avrebbe creduto, forse tra decine di anni, esperti in sociologia o politica economica studieranno questo incredibile fenomeno.

Alla base certo, resta una naturale ostinazione, quasi feroce, nel reagire alle avversità, mostrando al mondo la dote che, insieme al fronte della solidarietà, caratterizza da sempre i bergamaschi: lavorare, e farlo al meglio, senza risparmiarsi, mai. Ma non basta. Non può bastare il «mòla mia». In quei mesi terribili c’è stato un sistema che non è mai andato in tilt. C’è stato un modo di interpretare le situazioni, una rete di istituzioni, enti, associazioni, un modello che coinvolge imprenditori e parti sociali, che si è immediatamente attivato. E lo ha fatto quasi con il «pilota automatico» innestato, tanti erano i piccoli e grandi drammi che in quei mesi tenevano occupato un popolo paralizzato dal lockdown.

Tante imprese hanno dovuto chiudere, è vero, altre hanno atteso per mesi i ristori, alcuni settori, specie quelli legati a turismo, eventi e accoglienza, ne sono usciti devastati. Però il sistema economico «made in Bergamo» ha tenuto nonostante tutto, e persino nell’annus horribilis 2020 scopriamo oggi che ha continuato ad offrire lavoro, con ragazzi, tanti alla prima occupazione, che sono stati assunti, magari con un contratto soltanto a termine, ma iniziando comunque un percorso di quasi normalità, in un periodo che è stato tutto fuorché normale. Questo può significare una sola cosa: che il tessuto produttivo di questa provincia è forse unico in Italia e ha talmente tante frecce al suo arco che può reggere anche i cataclismi peggiori.

Così l’edilizia ha lentamente ripreso a camminare e ora corre sulla scia del Superbonus 110%; tante aziende di meccanica e meccatronica, pur penalizzate dagli impressionanti rincari dei costi delle materie prime, continuano a ricevere ordini sia sul fronte domestico che estero, tanto da ridurre al minimo le classiche fermate estive. Anche da artigianato e commercio, particolarmente mortificate dalla pandemia, si notano segnali di risveglio, mentre in agricoltura si affacciano decine di giovani che anche in nome di un differente stile di vita, decidono di investire il proprio futuro in campagna. Persino il tessile, che negli anni ha perso legioni di addetti, riemerge con i tessuti tecnici e speciali, con lavorazioni magari di nicchia, ma che non disperderanno del tutto la grande tradizione seriana. Così, anche l’ultimo spauracchio, lo sblocco dei licenziamenti, non ha scalfito un territorio che ora ha più certezze da spendere per il futuro.

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