Divisi in Italia
Deboli nella Ue

In politica estera le ambiguità prima o poi si pagano. Quando un Paese non riesce, per ragioni politiche interne, a esprimersi in un modo intellegibile, la sua credibilità precipita. Se si balbetta all’estero (e si gonfia il petto in Patria) gli altri non ti prendono sul serio e si comportano di conseguenza. Il colloquio tra Conte e la Merkel captato dalle telecamere a Davos è l’esemplificazione di un’Italia che quasi chiede scusa per le troppe contraddizioni che si porta dietro. Gli alleati annuiscono, ridacchiano tra loro e aspettano il momento per approfittare della tua debolezza. Non che sia solo storia recente, beninteso.

Però in passato c’erano alcuni capisaldi della politica estera italiana che hanno retto per cinquant’anni e che non sono mai stati traditi da nessun governo. Anzi l’Italia in molte occasioni ha saputo giocare come potenza «tascabile» per operazioni riconosciute come benemerite.Questa premessa per dire che sulla crisi venezuelana non si è ancora capito cosa pensi il governo gialloverde. Si capisce solo che l’Italia non sceglie tra il dittatore Maduro e il presidente autoproclamato Guaidó e che, per dirla con il presidente della Camera Roberto Fico, opta per una imprecisata «terza via».

Ci limitiamo a invocare libere elezioni al più presto ma rifiutiamo, unici tra tutti i Paesi europei, di sottoscrivere la presa d’atto della leadership provvisoria di Guaidó in attesa, appunto, delle elezioni. A Bucarest, al vertice informale dei ministri degli Esteri la partita si è conclusa 27 a 1, e l’uno siamo noi.

Tutto questo mentre Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna e Paesi Bassi si apprestano a riconoscere tout court la presidenza di Guaidó come l’unica legittima in un Paese che si trova alla fame e sull’orlo della guerra civile a causa delle scellerate politiche di Chavez prima e di Maduro poi.

L’Italia è insomma sola in questa sua incapacità di scegliere. Tanto più grave se si considera che in Venezuela vivono tanti italiani che chiedono a Roma di scegliere Guiadò: si sono dovuti rivolgere a Mattarella ricordando di essere, come gruppo etnico, tra i più perseguitati dalla dittatura. E dicono: «Ci sentiamo abbandonati dall’Italia».

Tutto questo perché i due vicepremier sull’argomento la pensano in maniera del tutto opposta. Salvini è contro il «rosso» Maduro e chiede di farla finita con le prudenze; Di Maio invece – capo di un movimento che a lungo ha dialogato con Chavez e il suo successore – vuole che si affermi il principio della «non ingerenza» e che non si riconoscano «soggetti non eletti». A Conte e al ministro degli Esteri Moavero Milanesi hanno dovuto dunque prendere una posizione così mediana da essere insignificante e dunque irrilevante.

Se si rinuncia ad avere un peso internazionale, pur coscienti dei limiti obiettivi del proprio ruolo, poi se ne accettano le conseguenze in tanti settori. Tralasciamo in questo momento il capitolo della legge di Bilancio che ci è stata dettata da Bruxelles dopo che per mesi avevamo detto che non avremmo «arretrato di un millimetro». Ma basti citare solo il caso della Tav che resta ancora in bilico perché Lega e M5S la pensano anche qui in maniera opposta: l’una a favore, l’altro contrario. I cantieri sono fermi, le gare d’appalto saltano, potremmo perdere i finanziamenti Ue, essere esclusi dal «Corridoio» europeo e pagare le penali. I francesi e Bruxelles – che hanno finora atteso che trovassimo un accordo tra noi italiani – stanno per lanciarci un ultimatum: decidetevi o pagate le conseguenze di questo stallo che avete creato.

Conclusione: quando ci si presenta così divisi in Europa poi non ci si può lamentare.

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