Divisioni sul rilancio
ma il tempo è decisivo

Al varo del decreto «rilancio» il Governo affida la riuscita della fase 2 e il contenimento dei gravi danni economici provocati dalla pandemia. Ma è un varo assai faticoso e lento, appeso ad un negoziato tra i partiti della maggioranza particolarmente conflittuale. Del resto è pur vero che stiamo parlando di una vera e propria manovra economica: i 258 articoli della bozza di testo uscita dal Tesoro prevedono 55 miliardi di nuove spese (in deficit), cioè 110 mila miliardi delle vecchie lire, e basti dire che la manovra monstre di Giuliano Amato che nel 1992 salvò l’Italia dalla bancarotta (anche con un prelievo forzoso dai conti correnti) si limitava a circa un quarto di quella cifra, e quella con cui Prodi ci fece entrare nell’ euro alla metà.

Non stupisce dunque che il lavoro sia complesso: il problema però è che, in questa condizione di emergenza il fattore tempo è determinante, più se ne perde più imprese rischiano di fallire, più famiglie vanno in sofferenza fino a non poter risolvere il problema della spesa alimentare.

Dalla bozza che circola da ieri mattina apprendiamo che sarebbe previsto un consistente contributo a fondo perduto per le imprese con ricavi fino 5 milioni: l’ importante è che quei soldi arrivino quando l’ azienda è ancora viva. Il punto è che i partiti devono ancora mettersi d’ accordo su parecchi punti controversi, soprattutto il M5S e Italia Viva. I renziani insistono, per esempio, sulla cancellazione anche parziale dell’ Irap e sulla regolarizzazione dei lavoratori migranti che però fino a ieri non compariva nella bozza a causa delle resistenze dei grillini contrari ad ogni sanatoria e disponibili solo per una breve proroga dei permessi (come Salvini). Viceversa il M5S si oppone ad una norma del Tesoro che prevede aiuti per le banche «decotte», tema che va ad intaccare punti identitari del movimento (sarebbe difficile accettare una norma simile dopo le barricate per il salvataggio delle banche ai tempi del governo Renzi).

E così via: ci sono tali e tanti punti controversi che, stando almeno alle voci che si ascoltavano dalle parti di Palazzo Chigi, il Consiglio dei ministri dedicato al decreto che sembrava si dovesse riunire ieri potrebbe slittare a metà settimana, nell’ ipotesi migliore a oggi dopo una notte di lavoro. In ballo anche le dimensioni dell’ ecobonus (il 110%) e i meccanismi degli aiuti ai turismo, mentre la strada è aperta per il rinvio delle controverse sugar e plastic tax, i premi agli operatori sanitari e la definitiva cancellazione delle clausole di salvaguardia, mentre l’ accordo sul reddito di emergenza sarebbe stato raggiunto nella versione minimale della misura (due quote).

Che questo decreto sia importantissimo è scontato, abbiamo detto, per l’ emergenza che deve affrontare e per le dimensioni della manovra. Ma anche per un altro elemento: dopo questa gigantesca lista della spesa non c’ è altra possibilità che rivolgersi alla linea di credito del Mes per il 34-36 miliardi. E qui si intreccia il nodo politico più complicato, quello che potrebbe mettere a rischio la tenuta stessa del Governo. Conte sta cercando di far digerire ai grillini una misura che li vede sordi a qualunque rassicurazione, che venga da Gentiloni, da Dombroschis, da Gualtieri, da chiunque: è una trappola dicono i pentastellati con parole non dissimili a quelle che usano Salvini e Giorgia Meloni.

Viceversa il Pd e Italia Viva, Palazzo Chigi e via XX settembre pensano che quei soldi devono a tutti i costi essere portati in cassa, essendo un prestito quasi a tasso zero e senza condizionalità. Come farà il presidente del Consiglio a doppiare lo scoglio senza incappare nella rivolta dei peones grillini? Riuscirà a far ingoiare al suo (ex? ) partito un contenuto tanto indigeribile? Con la Tav, l’ Ilva, la concessione delle Autostrade e varie grandi opere c’ è riuscito, adesso gli tocca in sorte l’ ennesima prova di abilità (dote che peraltro non gli manca).

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