L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 12 Febbraio 2019
Dopo il voto in Abruzzo
Avanti così, per ora
I sondaggi dell’ultimo mese si sono rivelati esatti. Gli istituti demoscopici da tempo rilevavano nelle intenzioni di voto il raddoppio dei consensi alla Lega e il dimezzamento di quelli per i 5 Stelle con un rovesciamento dei rapporti di forza scaturiti dalle elezioni politiche. E così è accaduto in Abruzzo dove si votava per il nuovo governo regionale. Facendo il raffronto con le ultime politiche - l’unico ragionevole - Salvini ha portato a casa il doppio dei voti della Lega (in terre dove solo fino a pochissimo tempo fa il Carroccio non esisteva) e un aumento fino a quasi il 50% della coalizione di centrodestra che lui egemonizza. Viceversa i grillini sono crollati dal 40% fa ad un incredibile 20%, tale per cui la candidata alla presidenza si è ritrovata in una umiliante terza posizione. Tra due settimane si vota in Sardegna e molti prevedono che questo scenario si ripeterà.
Nella maggioranza la parola d’ordine è: minimizzare. «Voto locale» dicono gli sconfitti grillini. «Per il governo non cambia niente» rassicura il vincitore Salvini. Si tratta di dichiarazioni di facciata. Il crollo dei consensi in Abruzzo è un sintomo chiarissimo: i grillini stanno pagando i compromessi insiti nell’azione di governo: qui hanno perso i voti dei no-Tap, là di quelli che volevano chiudere l’Ilva; in Adriatico si sono inimicati i movimenti anti-trivelle mentre le vittime dei crac bancari non hanno visto realizzate le promesse.
Salvini è percepito come il vero numero uno del governo. Di Maio è a capo di una squadra che non brilla per preparazione. L’economia va male. E poi: che farà il giovane leader ora che si tratta di votare sì o no alla richiesta di autorizzazione a procedere proprio contro Salvini? Se farà votare no perderà l’elettorato più giustizialista, e disperderà l’«anima» populista e anti-casta che ha fatto la fortuna di un movimento nato da un corale «Vaffa». Se invece farà votare sì rischierà che Salvini faccia saltare il tavolo del governo. Che fare? Per ora si traccheggia. Ma i maldipancia dei gruppi parlamentari aumenteranno, le richieste di autonomia pure, Grillo tornerà a strepitare, Fico a rumoreggiare. La prima vittima sarà la Tav: l’opposizione del Movimento diventerà ancora più intransigente, almeno fino a quando francesi e Commissione europea non presenteranno il conto salato di un nostro dietrofront: chiederanno soldi che non abbiamo. La situazione rischia di andare fuori controllo: per Di Maio, che ha imposto una linea governista e compromissoria, e per Di Battista che, almeno sul voto abruzzese, è sembrato perdere il tocco magico. Le sue performance non hanno impedito il crollo elettorale.
Salvini ora non vuole toccare una foglia: a che pro? Il problema è dei grillini, non suo: lui continua ad ammassare voti nei granai ed è vicino a diventare il vero padrone del centrodestra. Il tempo lavora per la Lega fino a quando le europee di fine maggio la consacreranno di gran lunga il primo partito italiano. Se il leader leghista facesse saltare ora il governo non avrebbe la certezza che Mattarella voglia aprire la strada a nuove elezioni. Dunque, meglio andare avanti così per ora. Ultima notazione: in Abruzzo il centrosinistra (non il Pd) sembra aver ricominciato a respirare. I sondaggisti dicono che l’emorragia di voti verso il M5S è finita, forse la coalizione può tornare competitiva. Purché definisca un’offerta politica convincente per un elettorato che si è in gran parte allontanato. La crisi economica in cui l’Italia è di nuovo caduta può aiutare il centrosinistra a rimettersi in gara nella speranza di tornare ad un bipolarismo destra-sinistra che metta all’angolo i grillini.
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