Eutanasia, dibattito
segnato da ambiguità

Non deve meravigliare e deve preoccupare. La vittoria, almeno stando all’entusiasmo dei promotori, nella raccolta delle firme per il referendum che praticamente dà il via libera nel nostro Paese all’eutanasia, è il risultato di una guerra lampo di enorme portata, che facilita la raccolta delle firme on line per la sottoscrizione dei referendum. In pochi giorni a cavallo di Ferragosto le sottoscrizioni al referendum dei radicali dell’Associazione Luca Coscioni sono schizzate alle stelle e hanno superato l’asticella delle 500 mila firme necessarie per presentare il quesito. L’argomento è tra i più sensibili, ma è anche tra quelli sui quali la razionalità è assai poco esercitata. La questione delle morte, perché è di questo che si sta parlando, nella nostra società è diventata un tabù.

Da una parte si vorrebbe vivere sempre più a lungo, inventando ogni tipo di tecnica adatta all’impresa, dall’altra si è avviato da qualche tempo un processo di legittimazione democratica dell’eutanasia. Ma il dibattito è segnato da ambiguità, confusione, imprecisioni con una semantica impazzita, una babele linguistica e culturale dove non si distingue più nulla e si tende a giustificare tutto, dal suicidio all’eutanasia. Passa l’idea, come ha ben spiegato mons. Vincenzo Paglia presidente della Pontificia Accademia per la vita, che tutto ciò che è debole debba poter essere tagliato, tutto ciò che è fragile si possa senza tante storie espellere dal perimetro della società, essendo la vita una sorta di disponibilità privata.

È sparito ogni ragionamento sull’accanimento terapeutico e su tutte quelle pratiche eticamente non ammesse neppure dalla teologia cattolica circa il fine vita, che aveva dato dignità nel recente passato ad un dibattito che per altro era stato sempre una sorta di contrappunto tra guelfi e ghibellini della buona morte. Quando qualcuno ha capito che si poteva giocare pesante con le paure della gente davanti a sorella morte è scattata la trappola ideologica e dalla pietà per chi muore si è passati in un baleno ad invocare la morte per pietà. La strada individuata è l’abolizione della punizione del cosiddetto »omicidio del consenziente». Dopo le sentenze che hanno assolto Marco Cappato e altri dall’accusa di assistenza al suicidio, è così partita una raccolta di firme per un referendum abrogativo degli articoli del codice penale che lo puniscono essendo l’ unica fattispecie del nostro ordinamento che ha rilevanza nelle scelte di fine vita.

È del tutto evidente che dietro c’è la legalizzazione dell’eutanasia, cioè il diritto a morire. Ma una raccolta di firme per un referendum, con il metodo classico dei tavolini, le firme nei Comuni, l’autenticazione, avrebbe richiesto tempo e non assicurato il risultato. I Radicali ne sanno qualcosa, avendo proposto nella storia della Repubblica ben 67 referendum di cui i sei sulla giustizia in collaborazione con l’allora Popolo delle Libertà fallirono la raccolta delle firme. Da qui la decisione di cambiare la legge sulla firma digitale. Sul versante sono impegnati da tempo, battaglia epocale addirittura in sede Onu, Comitato per i diritti umani, per far certificare che l’Italia impedendo la firma digitale rendeva difficile l’esercizio della sovranità popolare. Da metà luglio non può più accadere, svolta democratica al merito radicale. L’Italia è il primo Paese al mondo dove è possibile sottoscrivere on line referendum petizioni e leggi di iniziativa popolare, mentre altri Paesi lo consentono solo per petizioni di carattere non vincolante.

La nuova democrazia digitale è stata servita tuttavia sul piatto d’argento di un argomento sensibile e con un clic facilissimo in pochi giorni e con 159 mila firme digitali si è spazzato via ogni ragionamento, capacità critica, dovere d’approfondimento sul morire con dignità, cioè su né abbandono, né accanimento, né rinuncia alla vita. In un campo dove tutto è stato stravolto dalle emozioni, aprendo la strada a drammatici equivoci, oggi si potrà rispondere con altrettanta emozione, quella della democrazia partecipativa nella versione vigilante dei referendum. Fine della storia e di un dibattito politico che il Parlamento ha avuto paura di affrontare consegnandolo al dominio delle emozioni.

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