Fra Grillo e Conte è la fine
I 5 Stelle sono nel caos
e il Pd adesso è più solo

È spaccatura vera. Verticale. Irrimediabile, salvo miracolo (improbabile). Il video con cui Beppe Grillo insiste nelle sue accuse a Giuseppe Conte non lascia adito a dubbi. E neanche la risposta dell’ex presidente del Consiglio che anzi fa intravedere cosa accadrà: «Un progetto non torna nel cassetto per la volontà di uno solo». Ecco, appunto. Il M5S ormai si sta spaccando in due e davvero solo un’operazione arditissima potrebbe riunire i cocci del momento: da una parte Grillo e dall’altra Conte. Il Garante che non vuole mollare il controllo finale sulla vita della sua creatura (destino di tutti i leader carismatici) e il professore che, ormai sulla scena da primattore, non accetta di tornare in seconda fila e pensa in grande. Come? Ora ha due strade.

O rimane dentro e prova a scalzare Grillo dal suo stesso piedestallo di Garante – per quanto impervia, la strada statutaria ci sarebbe – oppure esce e dà vita ad un partito tutto nuovo, cioè come lui lo aveva pensato. Il problema però è innanzitutto il simbolo, tenuto strettissimo tra le mani degli avvocati di Grillo, e senza il quale i contiani hanno davvero poco appeal sugli iscritti e gli elettori. E poi le forze in campo. In queste ore si fanno i conteggi su chi potrebbe mollare il fondatore (Patuanelli, Crimi, Buffagni, Taverna) e chi invece rimarrebbe accanto al padre-padrone magari tornando ad abbracciarsi con i dispersi e gli espulsi dell’ala radical-movimentista di Di Battista (uno come Nicola Morra, per intenderci) e con il figlio di Casaleggio contro cui invece Conte è finito in tribunale per via degli elenchi degli iscritti.

Sulla scelta dei deputati-peones pesa naturalmente anche un’altra considerazione: quale dei due tronconi garantisce di ricandidare i parlamentari nonostante che siano giunti al termine dei due mandati, rompendo così forse l’ultimo dei tabù grillini? Si sa che molti si trovano in questa penosa condizione di dover tornare a casa e magari a qualche oscura occupazione, e cercano di essere rassicurati dai reclutatori dell’una come dell’altra parte. Infine c’è l’incognita dei due notabili massimi: Luigi Di Maio e Roberto Fico. Che faranno? I due che debbono a Grillo una carriera stupefacente di ministro e presidente, non hanno mai gradito il protagonismo di Conte. In particolare Di Maio non ha dimenticato il periodo in cui era lui il frontman del movimento che proprio Conte gli ha man mano sottratto. Dalle loro scelte dipende l’orientamento di tanti deputati e senatori (non sappiamo di quanti iscritti e soprattutto di quanti elettori).

Insomma, lì dentro è il caos. Un’anticamera di quello che sarà il risultato politico alle prossime elezioni e che si comincerà a vedere già alle amministrative di ottobre (pensiamo al disastro annunciatissimo della ricandidatura di Virginia Raggi a Roma).

Questione finale. I riflessi del disfacimento grillino sul governo e sul Pd. Per il governo se nascono due gruppi in competizione tra loro è un problema di stabilità, anche se unito il M5S non è mai stato una colonna molto solida di Draghi (se non per la sopravvivenza personale nei ministeri). Inoltre uno dei due gruppi conterrebbe molti che non hanno mai nascosto di essere contrari a sostenere l’attuale capo del governo. Infine il Pd: Enrico Letta si vede frantumare l’alleato con cui sognava di ricostruire il centrosinistra degli anni 2000. Ora che farà? Sposerà Conte – già definito da Zingaretti leader del progressismo italiano – e si metterà contro tutti gli altri? Cercherà di stare sopra le parti? Aspetterà che il tempo lenisca le ferite? Quello del segretario del Pd è un duro mestiere: non più tardi di pochi giorni fa confidava ai collaboratori che senza l’alleanza con il M5S il Paese prima o poi andrà alla destra di Meloni e Salvini.

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