Giovani, la Spagna
guarda avanti

Un bonus di 250 euro al mese per i giovani tra i 18 e i 35 anni per aiutarli a pagare l’affitto. La misura è stata approvata in Spagna dal governo di Pedro Sanchez nella legge di Bilancio per l’anno 2022. La misura, pensata per favorire l’autonomia e l’emancipazione dei giovani, ricorda quella analoga del 2007 del secondo Governo Prodi e della ormai storica battuta dell’allora ministro dell’Economia Tommaso Padoa Schioppa. «Mandiamo i «bamboccioni fuori di casa», sintetizzò con brutalità e molta ironia TPS nel corso dell’audizione davanti alle commissioni Bilancio di Camera e Senato. Il ministro faceva così riferimento alla norma che prevede agevolazioni sugli affitti per i più giovani. In realtà il provvedimento era piuttosto ridotto rispetto a quello spagnolo.

Si trattava della possibilità, per chi aveva tra i 20 e i 30 anni, di usufruire di detrazioni fiscali sulle locazioni. La detrazione variava dai 495,8 euro in tre anni se il reddito complessivo stava tra i 15 mila e i 30 mila euro fino ai 991,6 euro (sempre in tre anni) se il reddito non superava i 15.493,71 euro.

Nel caso spagnolo, Sanchez ha spiegato che il provvedimento avrà una durata di due anni e sarà riservato ai ragazzi under 35 con un reddito inferiore a 23.725 euro. Oltre 12 miliardi della manovra spagnola sono stati destinati alle politiche giovanili. È stato introdotto anche un bonus cultura di 400 euro, riservato ai diciottenni, e l’aumento delle borse di studio. E qui, per ritrovare una misura simile, dobbiamo rifarci a un governo più recente, quello di Matteo Renzi, che nel 2016 ha istituito il bonus cultura da 500 euro per i diciottenni.

Le notizie dalla Spagna giungono mentre il governo Draghi approva la legge delega sulla riforma fiscale, in cui non si parla certo di misure simili. Tra l’altro dobbiamo segnalare la totale assenza di una prospettiva familiare dopo almeno un decennio di dibattiti su un fisco a misura di famiglia attraverso l’introduzione del quoziente familiare, come avviene in Francia. Un sistema tributario che non tiene conto della capacità contributiva ridotta dai figli a carico è un sistema iniquo. A parità di reddito una famiglia di cinque membri – e che dunque ha a che fare con rette scolastiche, zaini, libri, abbigliamento, spesa, biberon, carrozzine etc. - infatti ha costi ben diversi rispetto a un single, e quindi a rigor di logica non può e non dovrebbe essere tassata allo stesso modo.

Se nell’imposizione fiscale non si tiene conto dei carichi familiari, di quanto costa educare e far crescere un figlio (gli ultimi dati parlano di 650 euro al mese), si finisce per esporre a maggiore povertà chi ha più figli. Prendiamo il reddito di cittadinanza, pensato proprio per assicurare un reddito dignitoso a chi non ce l’ha: il 60 per cento è costituito da single o da coppie a causa dei meccanismi di accesso scelti, che hanno ritenuto la condizione familiare poco rilevante, mentre tante famiglie con più componenti a carico restano escluse dal provvedimento. Se non è una distorsione questa…

Vi è poi preoccupazione per la misura dell’assegno unico universale per i figli, che dovrebbe scattare da gennaio dopo essere stata ampiamente sbandierato, ma non raggiungerà i 300 euro mensili (per chi ha un Isee molto basso). In realtà il beneficio non è per nulla universale poiché esclude le fasce di reddito più ampie. L’Italia fa ancora poco per migliorare il Welfare familiare. Servirebbero aiuti diretti ai nuclei (come il voucher per i servizi educativi prescolari), sgravi per chi manda i propri bambini alle materne o al nido, più deduzioni e detrazioni (che il governo vorrebbe «riordinare», ma il sospetto è che li voglia semplicemente cancellare, non certo implementare). Il fisco in Italia resta ancora a misura di single, anche dopo la legge delega di Draghi.

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