Giustizia, la bufera e la riforma nel cassetto

ITALIA. Il ministro della Difesa Guido Crosetto, un uomo notoriamente pacato cresciuto nella Dc piemontese, ha lanciato un bel sasso in piccionaia: ha detto che il vero pericolo per il governo può venire solo dai giudici avversari del centrodestra.

E ha addirittura precisato di essere a conoscenza di «riunioni di magistrati» in cui si discute di come fermare la maggioranza al potere. Naturalmente una frase del genere, perdipiù pronunciata proprio dal moderato Crosetto, non poteva non scatenare un pandemonio. Tutte le opposizioni hanno lanciato «l’allarme democratico per l’attacco alla Costituzione», i sindacati dei giudici hanno denunciato la «delegittimazione» del loro ruolo costituzionale e il tentativo di «intimidirli», sui social si è scatenata la ridda di accuse al ministro della Difesa, c’è anche chi si è insospettito per la coincidenza con il procedimento a carico del vice ministro Delmastro o del figlio di La Russa, ecc. «Se il ministro ha qualcosa da denunciare, vada in Procura e porti le prove» è stato l’ammonimento generale.

Crosetto, dopo essere stato investito da questa bufera, è sembrato tirarsi un po’ indietro: la sua - ha detto - non è stata «un’accusa» ma solo una «preoccupazione» accompagnata dall’invito all’Anm per un incontro «nel massimo rispetto delle istituzioni, in primis la magistratura».

È probabile che, visto il pandemonio scatenatosi, a Palazzo Chigi abbiano preferito smorzare i toni, non incrudelire la polemica suggerendo prudenza a Crosetto per evitare lo scontro diretto con i magistrati nonostante che nelle ultime assemblee di corrente - come racconta l’ex vice ministro Costa che porta dei video a riprova - si siano ascoltate parole molto dure nei confronti della destra di governo. Un ruolo, nel tacitare le discussioni deve averlo avuto il sottosegretario Alfredo Mantovano, il «Gianni Letta» di Giorgia Meloni, peraltro un ex magistrato, incline al dialogo piuttosto che lo scontro. E tuttavia è improbabile che Crosetto abbia parlato solo per dare libero sfogo a qualche rancore: il rapporto coi giudici per il centrodestra è problematico sin dal primo governo Berlusconi e le cose non sono mai veramente cambiate. Semmai c’è da chiedersi che fine abbia fatto la riforma delle carriere dei magistrati che è da sempre l’obiettivo non raggiunto di questa maggioranza, soprattutto di Forza Italia e della Lega. Non a caso questi due partiti hanno preso al balzo la palla alzata dal ministro della Difesa per rilanciare una riforma che sembra finita per l’ennesima volta su un binario morto. Francesco Paolo Sisto, Roberto Calderoli, Enrico Costa e altri hanno di nuovo invocato una iniziativa politica anche a costo di tornare alla guerra con l’Anm. Il punto però è che Giorgia Meloni vuole prima incassare la riforma del premierato e poi mettere mano alla giustizia: «È lei che ha bloccato la riforma in Parlamento» dice Matteo Renzi che arriva a chiederle provocatoriamente «di cosa abbia paura».

In tutto ciò ha colpito il silenzio del Guardasigilli: Nordio ha sempre propugnato una riforma radicale dell’ordine giudiziario cominciando proprio dalla separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti: era un vecchio pallino di Silvio Berlusconi ma è sempre stato visto come uno strumento per «addomesticare» la procure ai voleri del governo, e perciò duramente contrastata non solo dalle Procure, a cominciare da quelle di Milano e Palermo, ma anche dalla sinistra, a sua volta accusata di usare la giustizia come strumento di lotta politica prima contro Berlusconi e poi contro i suoi eredi. In ogni caso ieri Nordio è stato zitto, un silenzio più pesante di qualunque dichiarazione ma di difficile interpretazione.

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