Giustizia, la riforma non è il «liberi tutti»

GIUSTIZIA. Il Guardasigilli Carlo Nordio ha presentato in Consiglio dei ministri una riforma della giustizia di stampo garantista, suscitando critiche soprattutto da parte della magistratura.

Anche certa stampa ha gridato alla censura di Stato. In realtà non è un «liberi tutti». È bene ricordare che la riforma non incide sui reati, a parte cancellare quello di abuso d’ufficio, che in questi anni ha dimostrato di essere una sorta

di spada di Damocle per sindaci e amministratori pubblici. Bastava che un primo cittadino firmasse un qualcosa, un magistrato decidesse di intervenire ed ecco scattare l’avviso di garanzia. E come è noto un avviso di garanzia, che a ben vedere è solo il primo passo cautelare di un lungo iter giudiziario, può trasformarsi in un formidabile strumento politico per rovinare la carriera di un primo cittadino. Si dirà che un reato è reato, ma spesso e volentieri l’opinione pubblica, soprattutto quella manettara, alimentata dai social, non fa molte distinzioni tra un corrotto, un tangentista e una firma su un atto pubblico, magari dovuto. Se poi andiamo a vedere l’esito, scopriamo che a fronte di 5mila provvedimenti abbiamo avuto 18 condanne. Di fronte a questa sproporzione (e al rischio di imbarbarimento di una giustizia arbitraria) è lecito porsi dubbi. Il reato d’abuso d’ufficio ha finito per essere un vero e proprio spauracchio per gli amministratori, tanto è vero che molti tendono a non firmare, bloccando l’iter delle pratiche, con grave danno per lo sviluppo (soprattutto economico, ma non solo) di Città, Province e Regioni. Cantieri fermi, provvedimenti bloccati, progetti congelati, decisioni rimandate: tutto per paura di metterci una firma.

Vi è poi la svolta garantista dell’impossibilità da parte della pubblica accusa di ricorrere di fronte al proscioglimento dell’imputato al processo. Attualmente il pm può impugnare la sentenza di assoluzione, salvo se il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso (va detto che utilizzano questa prerogativa solo l’1,4 dei pm e il 3 per cento delle procure generali). Cancellare l’appello per l’accusa è un fondamento di civiltà giuridica che impedirebbe a un cittadino di essere sottoposto a una sorta di accanimento giudiziario. Forse sarà necessaria una modifica costituzionale, poiché il precedente della legge Pecorella del 2007 venne bocciata dalla Consulta. Nel disegno di legge attuale il limite riguarda soltanto le sentenze su reati per cui è ammessa la citazione diretta in giudizio (articolo 550 codice di Procedura penale, fino a quattro anni). Nelle intenzioni di chi lo propone questo limite dovrebbe evitare di incorrere nuovamente nel giudizio negativo della Consulta. Ma non è detto.

I reati, dicevamo, rimangono, come quello per corruzione, la cui pena - durissima - prevede da 6 a 10 anni di reclusione (la stessa pena massima del sequestro di persona). Non si capiscono nemmeno le proteste per aver portato da uno a tre il collegio dei giudici che decidono dell’aspetto più delicato del sistema giuridico, l’habeas corpus, l’arresto dell’imputato. Il Costituente fu molto rigido nel prescrivere la riserva di legge rafforzata proprio per evitare quei soprusi di cui erano stati testimoni (e a volte vittime) durante il regime fascista. Un collegio di tre giudici permetterà di studiare il caso più attentamente, per evitare che il provvedimento sia la pedissequa conferma del fermo di polizia giudiziaria. I magistrati obiettano che la riforma prevede anche l’interrogatorio preventivo e che questo potrebbe pregiudicare l’arresto. In realtà l’interrogatorio preventivo è previsto solo nei casi in cui non vi sia pericolo di fuga o inquinamento delle prove. Gli indagati continueranno a essere arrestati «a sorpresa», ma solo se necessario.

Tra le scelte più condivise c’è un rafforzamento di tutela della persona in fase di informazione di garanzia. Un tema che fa discutere è quello delle intercettazioni: il decreto non prevede restrizioni nell’utilizzo per fini di indagine e processuali che restano come sono, ma mette un ulteriore limite alla pubblicazione (dopo quello già stringente della riforma Cartabia). Si vieta infatti la pubblicazione anche delle intercettazioni riassunte, non più segrete in quanto depositate alle parti (a meno che non siano contenute nella motivazione di un provvedimento di un giudice o utilizzate in dibattimento). Davvero si impedisce il diritto di cronaca? O forse si vieta di infangare una persona prima di una condanna? Su questo punto forse c’è spazio per dibattere, trattandosi di un disegno di legge. Ma considerare la riforma «liberticida» è un controsenso, prima ancora che una falsità.

Lorenzo Rossi

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