Green pass avanti
inesorabilmente

Il governo, nella riunione di domani, estenderà l’uso del green pass alla pubblica amministrazione. Non è chiaro se, nella stessa circostanza, si deciderà di coinvolgere anche i lavoratori delle aziende private come chiede Confindustria, o se questo provvedimento arriverà più avanti. Di sicuro si farà un altro passo nel rendere il «certificato verde» il salvacondotto indispensabile per buona parte della vita sociale e lavorativa delle persone in modo tale, da una parte, di evitare l’obbligatorietà vaccinale, e dall’altra di scongiurare una sciagurata nuova chiusura generale nel caso in cui i contagi tornassero a salire. Le fonti di Palazzo Chigi ribadiscono che Draghi è intenzionato a non deflettere da questa linea graduale ma inesorabile, e che il rallentamento che c’è stato non deve essere inteso come uno stop: si va avanti per gradi ma si va avanti.

Il problema è: e la Lega che farà? La Lega sta vivendo un momento di tormento interno. La linea di Matteo Salvini - «non complicare la vita degli italiani» – che si traduce in un tentativo di limitare il green pass se non il vaccino, chiaramente non è condivisa da una larga parte dello stato maggiore del partito. Se si considera che il ministro più influente, Giancarlo Giorgetti, e i tre governatori del Nord Zaia, Fedriga e Fontana, tutti si sono dichiarati favorevoli al certificato, si capisce che qualcosa non sta andando per il verso desiderato dal leader.

Quando si parla di esponenti di quel calibro si deve pensare all’elettorato che essi rappresentano, i ceti produttivi e imprenditoriali del Nord che vogliono la certezza che la fabbrica, il laboratorio, il negozio o l’ufficio possano rimanere aperti. E questa certezza la danno il vaccino e il lasciapassare che Zaia non a caso considera «passaporto di libertà». Insomma, per dirla con Giorgetti, occorre essere «pragmatici»: non si può, in sostanza mettere in pericolo la ripresa economica delle regioni più ricche del Paese per cercare di strappare un po’ di voti a Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia, come abbiamo ripetuto tante volte, stando all’opposizione ha facile gioco nello scagliarsi contro ogni tipo di limitazione e nell’opporsi all’obbligatorietà del vaccino e del green pass: così cerca di rappresentare almeno una parte di quei dieci milioni di italiani che - chi per paura, chi per ideologia - non intendono ascoltare gli appelli dei medici, delle autorità sanitarie italiane e di tutto il mondo, del Capo dello Stato e di Mario Draghi. Salvini sta invece nella scomoda posizione di rappresentare «la lotta e il governo», gioco sempre più difficile e oggi apertamente contestato dallo stato maggiore.

Ma non è solo questa la grana per Salvini. Draghi ha annunciato che presto vedrà la luce il testo della legge delega per la riforma fiscale, un provvedimento organico e generale come in Italia non si vede esattamente da cinquant’anni, cioè dalla riforma del ministro repubblicano Bruno Visentini. Da allora sono state messe talmente tante toppe da rendere l’esoso sistema fiscale italiano un ginepraio che per esempio, le aziende straniere esitano ad affrontare. Da quello che trapela, tra i molti provvedimenti all’esame, potrebbe spuntare la riforma del catasto (voluta dalla sinistra ma avversata dal centrodestra) mentre non ci sarebbe traccia della flat tax salviniana e nemmeno del regime di favore che proprio la Lega varò al tempo del governo Conte 1 per le partite Iva. Fu una misura che ebbe un grande successo elettorale e che, insieme a quota 100 e ai decreti sicurezza, rappresentò la bandiera della Lega. I decreti sicurezza, come si sa, sono stati depotenziati; quota 100 viaggia verso l’archivio e la flat tax per le partite Iva potrebbe sparire o essere molto ridimensionata. Troppo, per non suscitare la reazione del Carroccio e del suo capo.

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