I 5 Stelle in crisi profonda ma la sfida Conte-Grillo rafforza il premier Draghi

Siamo in trepida attesa di sapere se il fondatore-garante dei Cinquestelle e il loro aspirante capo politico si adatteranno a vivere da separati in casa, o se diversamente cercheranno di recuperare l’unità del Movimento grazie alla canonica «pausa di riflessione», cui una coppia in crisi spesso si appella prima di avere il coraggio di proclamare la separazione. Oppure se, alla fine, consumeranno un vero divorzio, consensuale o litigioso che sia, con l’inevitabile, interminabile coda di recriminazioni e di contumelie che ne seguirebbe. Sappiamo in compenso che la frattura all’interno del Movimento è cosa fatta e che non è facilmente sanabile.

Non lasciamoci sviare dall’alterco sfuggito ai due litiganti, in cui sono volate parole – e insulti – brucianti. Quanti politici abbiamo già visto che hanno giurato «non prenderò più nemmeno un caffè con lui» (nel 1995, Gianfranco Fini vs. Umberto Bossi) e subito dopo si sono riabbracciati. Di pressoché incolmabile c’è ben altro: e cioè il fossato che divide le strade imboccate da Conte e da Grillo.

L’avvocato pugliese ha tentato di far passare per un moto d’orgoglio il rifiuto opposto dal comico genovese di affidargli la guida del Movimento. Ha un bel rimproverargli di comportarsi da «padre padrone» che non consente di accettare «l’emancipazione» della sua creatura. La verità è che Conte non persegue l’emancipazione del M5S dal suo fondatore, ma vuole consumare un vero e proprio parricidio per buttare poi alle ortiche l’eredità lasciatagli. Cos’altro è, infatti, la proposta dell’ex premier di costruire «una forza aperta e accogliente» (accogliente di ogni ceto sociale, aperta alla collaborazione col Pd), se non l’abbandono dei «fini originari» in nome dei quali i Cinquestelle hanno fatto irruzione nella politica italiana coll’intento di rivoltarla come un calzino?

Farebbero bene i volonterosi mediatori a non trattare la frattura nel corpo vivo del Movimento come una banale baruffa tra il Marchese del Grillo e il Conte di Volturara Appula, accanitisi nella difesa di una loro supposta lesa maestà. Non s’è mai visto un partito sull’orlo di una scissione accapigliarsi, non su idee alternative del futuro da offrire al proprio Paese, ma semplicemente su una modifica del proprio statuto. Ci si chiede nel frattempo quale scossone provocherà sul governo la frattura apertasi nel M5S. Probabilmente non un terremoto, solo grandi fibrillazioni. Le scissioni, proclamate o striscianti che siano, portano a concentrare le energie sulla diatriba che divide i litiganti e su a chi attribuire la responsabilità della frattura apertasi. Tutto qui. I primi a non essere interessati ad aprire scenari di fine legislatura, infatti, sono proprio i litiganti. Né i devoti di Grillo né i seguaci di Conte sarebbero nelle condizioni di affrontare un immediato bagno elettorale, presi come sono dalla questione del mantenimento o meno del vincolo di due soli mandati. È in gioco la «cadrega».

Questo non toglie che non possa cambiare lo scenario politico. Da un tripolarismo si passerà o a un bipolarismo o a una frammentazione spinta. Più probabile sembra questa seconda ipotesi. Nessun partito avrà più la forza di condurre il gioco. Le maggiori formazioni (Fd’I, Lega e Pd) sono comunque troppo piccole (attestate intorno al 20%) per imporre la loro guida. Non dispongono più nemmeno di salde coalizioni. Queste sono o in frantumi (centro-sinistra) o piuttosto traballanti (centrodestra). In compenso, ci si può consolare col fatto che tante debolezze (dei partiti) fanno la forza (relativa) di Draghi. Conviene loro navigare a vista piuttosto che affrontare il mare aperto. All’orizzonte hanno due scogli da superare (il voto amministrativo d’autunno e l’elezione del presidente della Repubblica a inizio 2022) e nessuno dispone di carte vincenti da giocare.

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