I bambini naufragati:
non bastano le emozioni

Un neonato con il viso nella sabbia, un bambino con le braccia spalancate, una donna avvolta in una coperta. Sono le foto choc di tre corpi abbandonati sulla spiaggia di Zuwara in Libia, pubblicate in un «tweet» dal fondatore della ong «Open Arms», Oscar Camps. Hanno destato emozione in chi le ha viste ma poche reazioni politiche, come se l’assuefazione avesse prevalso. Stiamo facendo ancora i conti con la pandemia di Covid, con i suoi effetti sanitari ed economici ed evidentemente immagini così crude ormai sono considerate routine. Ma non lo sono, non dovrebbero esserlo. Si tratta, probabilmente, delle vittime dell’ultimo naufragio di cui ha dato conferma nei giorni scorsi l’Organizzazione internazionale dei migranti (Oim): una cinquantina di dispersi, 33 superstiti che hanno raccontato che su quel barcone partito nella notte tra il 18 e il 19 maggio proprio da Zuwara erano in una novantina, tra loro molte donne e bambini.

Secondo l’Oim, nei primi 5 mesi del 2021 sono già oltre 600 le persone morte nel tentativo di raggiungere l’Europa via mare, tre volte di più nello stesso periodo dello scorso anno (anche gli sbarchi in Italia si sono triplicati in quel lasso di tempo, arrivando a 12 mila persone). Di due su tre non sono mai stati recuperati i corpi. Non è nota l’identità dei due bimbi né della donna (forse la loro mamma) ma si sa che i tre cadaveri erano sulla spiaggia da almeno tre giorni, senza che nessuno li abbia recuperati: un abbandono che la dice lunga sull’atteggiamento della Guardia costiera libica, sostenuta dall’Italia negli ultimi tre anni con un finanziamento di 250 milioni.

Ben altra fu la risposta di fronte al ritrovamento nel settembre 2015 del corpicino di Alan Kurdi, tre anni, siriano curdo, sulla spiaggia turca di Bodrum. Naufragò con la famiglia mentre era diretto in Grecia su un gommone, solo il padre si salvò. La reazione fu corale, popolare e istituzionale. Risuonò il retorico «mai più» ma per un po’ di tempo sembrò che quella tragedia avrebbe rappresentato una scossa agli inerti governi europei. Il tempo però cancellò la ferita e le promesse. Del resto già nel 2013 l’allora presidente della Commissione Ue José Barroso si impegnò ad evitare altre tragedie: dal 2014 ad oggi i morti nel Mediterraneo sono stati almeno 23 mila.

Ha detto bene Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia: «È doloroso e inaccettabile osservare le immagini dei corpi di bambini senza vita da giorni riversi su una spiaggia in Libia, ma non c’è più tempo per l’indignazione a orologeria. Ora occorre un risveglio collettivo, da fare tutti insieme, governi e società civile». L’emozione per i bambini naufragati (gli adulti non generano la stessa reazione) è destinata a spegnersi nel tempo. È urgente invece un cambio di mentalità. Criminalizzare interi gruppi di persone non porta da nessuna parte. Servono umanità e conoscenza. Per anni si è detto che erano le navi delle ong ad attrarre migranti verso l’Europa: quelle navi sono quasi scomparse (e le ong finite sotto accusa: su 20 inchieste aperte però 17 sono state archiviate) ma gli sbarchi in Italia, come abbiamo scritto, in un anno sono triplicati.

«Le immagini di quei bambini sono inaccettabili» ha detto dal Consiglio europeo a Bruxelles il primo ministro Mario Draghi a proposito delle foto dalla Libia. La politica del governo è quella di lavorare perché il tema diventi europeo, con ricollocamenti degli immigrati obbligatori tra i 27 Paesi Ue, rimpatri volontari e assistiti, sostegno alla Tunisia che per gli attentati terroristici e il Covid ha perso il 65% dei ricavi del turismo, corridoi umanitari per chi scappa da guerre e persecuzioni e in generale una maggiore presenza in Africa, soprattutto nel Sahel, in alleanza con la Francia. Ma bisogna anche guardarsi da chi usa i migranti come merce. La spiaggia di Zuwara è nell’area d’influenza turca e Ankara non è un alleato dell’Italia molto affidabile. Vanno chiariti i rapporti fra chi è amico nella gestione dell’immigrazione e chi non lo è. Serve un cambio di passo, agendo anche nei Paesi dai quali provengono i migranti economici che non trovano lavoro in Europa per sostenerne la crescita. Ma uscendo dalla logica dell’emozione, che dura il tempo di uno sguardo.

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