I debiti sono debiti anche con altre parole

Da qui a fine anno, il Governo è atteso ad una specie di macchina della verità sulle scelte di finanza pubblica, con ripercussioni che possono condizionare addirittura i prossimi 5/7 anni.

L’Unione Europea sta infatti per riavviare la procedura del patto di stabilità, che in questi anni è stato solo sospeso. Sarà un po’ meno «terroristico» del precedente, ma per i Paesi indebitati non sarà tanto leggero. Cancellato l’irrealistico obbligo di rientrare ogni anno di un ventesimo del debito (per l’Italia da 100 a 150 miliardi), sarà previsto un percorso di severa valutazione per appunto da 4 a 7 anni. Governi con le mani legate per intere legislature, perché bisognerà dimostrare una continuativa serietà fiscale e di spesa. Gli scolari indisciplinati dovranno fare i compiti a casa e portare buoni voti, altrimenti niente finanziamenti UE e, se bocciati, veri e propri commissariamenti.

La porta di ingresso di questo percorso è l’imminente presentazione della legge di bilancio. Si sente parlare di nuove spese (pensioni, condoni, tasse piatte) in nome di vecchie promesse azzardate, ma i conti bisogna sempre farli con la realtà. Non tragga in inganno che il 2022 si chiude meglio del previsto: il terzo trimestre ha segnato un +0,5 che nessun esperto aveva indicato, sottovalutando il boom del benemerito turismo e dei servizi (ma la manifattura è sotto) e addirittura l’anno segnerà un +3,9%. Avessimo avuto, a partire dal 2000, solo la metà di questa crescita, invece che lo zero virgola medio, saremmo un Paese leader.

Ma tutti temono la recessione nel 2023. Secondo Moodys (sempre pronta a darci un rating negativo) andremo sotto dell’1,4%, sia pur meglio dei tedeschi (-1,8%). La Francia starà meglio ma sempre sottozero di 7 decimali. Solo gli USA stanno sopra, ma solo dello 0,4. Finché diamo fondo a bonus vari (un miliardo al mese solo per la benzina, anche quella delle Ferrari) stiamo a galla, ma l’inflazione morderà almeno per tutto il primo semestre. Dunque è necessaria la prudenza predicata dal ministro Giorgetti, e molto meno dal suo partito. A non far niente, già c’è spesa aggiuntiva. Gli aumenti automatici delle pensioni del 7,3% o i contratti della scuola, cose sacrosante, assorbono miliardi. Accontentare le clientele farebbe traboccare il vaso. Dato il nostro debito, salgono alla grande gli interessi. Nel 2022, la cifra sarà attorno ai 77 miliardi (era l’anno prima di 62,9). Questo è il guaio di avere un debito sopra il 150% di quel che produciamo, e qui sta la prova del fuoco del futuro patto di stabilità europea. La Germania sta rallentando, ma ha riserve tali che ha potuto stanziare altri 200 miliardi freschi per il caro energia senza ricorso al debito.

Ogni anno, per noi, occorre poi la copertura di centinaia di miliardi di titoli del debito, che pagano stipendi pubblici e pensioni. Erano 387 nel 2020, saranno 406 l’anno prossimo. In parte provvede ancora la BCE, come ha fatto in toto negli anni felici e spensierati di Conte, ma c’è un fabbisogno nuovo che nel 2022 è stato coperto da Francoforte per 37 miliardi, e nel 2023, quando salirà a ben 63 miliardi, dovremo coprirlo sui mercati. Gli sciocchi lo chiamano neoliberismo, in realtà si tratta di fiducia o non fiducia di chi ti presta i propri risparmi. E qui cascano le illusioni di chi cambia le parole cercando di far dimenticare la sostanza e invoca eterni «scostamenti di bilancio», che sono in realtà nuovi debiti, così come propugna «paci fiscali» che sono soltanto condoni, schiaffi ai contribuenti in regola. Già si parla di un bilancio scoperto del 4,5% (l’Europa chiede al massimo il 3) e dunque dichiariamo nuovi debiti aggiuntivi. I mercati ci guardano: si fideranno?

© RIPRODUZIONE RISERVATA