I due goal di Draghi e l’Italia da ritrovare in un Paese ferito

Chissà se effettivamente stiamo vivendo un momento magico, quella voglia descritta e immaginata di riprenderci l’esistenza, recuperando la socialità toltaci dal Covid. Anche nei periodi di normalità non sono tantissimi i momenti condivisi dello stare insieme. Però la grande festa per gli azzurri in vista della finale di questa sera a Wembley è un pregevole ristoro una tantum, peraltro non a carico delle casse pubbliche ma a beneficio dell’umore collettivo: a buon rendere. Rappresenta, con la forza epica del calcio, la metafora di un intero Paese con la volontà di ripartire, la testimonianza di una comunità che sa stringere i denti, perché conosce la sofferenza e i limiti del proprio agire.

Occasione da non sprecare, da gestire con equilibrio, perché siamo ancora nella terra di mezzo e in una condizione esistenziale ibrida. Un po’ con la mascherina e un po’ senza, con zoom e in presenza, un pezzo di smart working e l’altro alla scrivania.

I vaccini ci sono e funzionano, però la variante Delta è in agguato e non possiamo abbassare la guardia. La ripresa economica per ora è un rimbalzo tecnico, le ferite sociali si sono estese. Il futuro, algoritmi a parte, è tutto da conquistare. Ibrido è anche il sistema politico, che a fine ricreazione è stato messo sotto tutela: fatica comunque a ritrovare il passo giusto, un percorso coerente volto ad aggregare e a riconnettersi al Paese reale, a smarrire personalismi in eccesso.

Il governo Draghi, nella sua anomalia, sta ripristinando la normalità in tempi eccezionali in base al principio di realtà. Una cura per deficit altrui. Tempi e modalità delle riforme paiono rispettati, non solo perché ce li chiede l’Europa: c’è una richiesta che sale dal basso e speriamo che su temi come il lavoro trovi udienza.

Draghi in questi giorni, in anticipo sulla partitissima, ha messo a segno due gol e l’augurio è che i ragazzi di Mancini facciano altrettanto contro l’Inghilterra: a rete sono andati i nuovi vertici Rai e soprattutto la riforma della giustizia (pur attesa dal Vietnam parlamentare). Il dissenso di una parte dei grillini sul disegno di legge della Guardasigilli Marta Cartabia andava messo nel conto, in quanto proiezione esterna della resa di conti in un Movimento allo sbando e alla ricerca di leadership. La giustizia è fra i temi più divisivi e questa volta pare possibile l’equilibrio tra efficienza, garanzie individuali e legalità. Conta la traiettoria della riforma, che, unita al Piano di ripresa e di resilienza, riflette il cambio di fase indotto dalla pandemia, dall’argine antipopulista e dall’azione di questo esecutivo. Un nuovo segno dei tempi, iniziati negli anni ‘90 con gli schiavettoni in bella vista ai polsi del portavoce di Forlani e terminati con il pianto liberatorio dell’ex sindaco di Lodi dopo l’assoluzione. La riconciliazione con la realtà deve essere diventata proprio contagiosa se gli ex cultori del cappio in Parlamento ora flirtano con i referendari e se i giacobini della giustizia sommaria fanno pubblica ammenda.

La domanda è se, per uscire bene dalla pandemia, ci siano le condizioni per ricostruire un ambiente culturale fatto di contenuti civili che rinviino ai valori costituzionali della Repubblica. Non tutto si esaurisce nell’utilità per l’«uomo economico». Pensiamo molto all’economia, meno alla dignità. In fondo ci sono pezzi significativi d’Italia che, riflettendo sulla propria storia e guardando allo spettacolo della Nazionale, si ritrovano comunque con i piedi per terra e uniti dal buon senso: ben inseriti, malgrado tutto, nel vissuto reale della partita della vita. Agli altri, ai ritardatari e ai pentiti, si può sempre dare il benvenuto nella realtà ritrovata.

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