Il brutto incidente su un atto importante

POLITICA INTERNA. L’incidente ha colto Giorgia Meloni a Londra, mentre era in visita a Downing street tra i convenevoli del premier britannico e le contestazioni di alcuni manifestanti.

Un incidente che lei stessa ha definito «brutto», e a ragione. A memoria di cronista infatti non era mai successo che una maggioranza si facesse bocciare dall’aula il Documento di economia e finanza, uno degli atti politici di maggior rilievo dell’anno, quello che stabilisce il perimetro della finanza pubblica. E che serve a governo per farsi autorizzare dal Parlamento un eventuale scostamento di bilancio, cioè più deficit: in questo caso una variazione da +4,35% a +4,5%, in cifra assoluta circa 3 miliardi di euro indispensabili per finanziare il taglio del cuneo fiscale che sarà contenuto nel decreto Lavoro del 1° maggio, una misura-bandiera del centrodestra che intende far pesare sull’opinione pubblica un taglio delle tasse, ancorché modesto, sugli stipendi. E invece per pochi voti e molti assenti la maggioranza alla Camera è stata battuta (al Senato invece è andata bene).

Una bruttissima figura, certo, ma anche un caso politico? Tra quei 25 assenti ingiustificati della maggioranza – soprattutto Lega e Forza Italia – c’era chi voleva «mandare un segnale», come si dice, a Meloni e a Fratelli d’Italia? A occhio sembrerebbe di no, ma non si può mai sapere nella vita di una maggioranza, soprattutto mentre sono ancora in corso grandi manovre per le nomine ai vertici delle aziende pubbliche. In ogni caso non è questa l’opinione che si ricava percorrendo il Transatlantico, semmai le voci parlano di «assenteismo puro» e persino di qualcuno che ha voluto regalarsi un ponte-monstre tra il 25 aprile e il 1° maggio. Qualcosa comunque non funziona nella «tenuta» e nella disciplina dei gruppi parlamentari, questo è sicuro, tant’è vero che Meloni ha fatto sapere ai telegiornali della sera di «essere furiosa» mentre Giorgetti, il ministro dell’Economia che ha subito in prima persona la bocciatura, non ha avuto neanche bisogno di far trapelare la sua arrabbiatura, glielo si leggeva benissimo in faccia. In ogni caso un veloce consiglio dei ministri ha provveduto a qualche modifica marginale del Def per consentire oggi un nuovo voto parlamentare senza contraddire il principio del «ne bis in idem», e cioè che non si può votare uno stesso testo per due volte.

L’incidente di Montecitorio ha messo un po’ in ombra la polemica del giorno che riguarda la contrarietà del governo italiano alla proposta di modifica del Patto di Stabilità - ora sospeso – nella sua versione post-pandemia. La flessibilità concessa nel tenere a bada i conti pubblici di ogni Paese, si dice, viene fatta pagare con un controllo ancora più occhiuto della Commissione sui provvedimenti legislativi, sulle riforme e sugli impegni di spesa corrente, tutte rigidità che arrivano direttamente da Berlino e dai Paesi del Nord ansiosi di riportare all’ordine i «meridionali d’Europa» e i loro debiti pubblici. Giorgetti ha proposto come prima cosa di escludere dai calcoli sui conti pubblici gli investimenti del Pnrr in materia di digitale e green, e pare che la cosa possa passare, ma esistono altre «trappole» che andranno disinnescate. A chi chiede al governo di votare contro la proposta di Bruxelles, molti fanno notare che la posizione italiana è resa debole dal permanente ritardo nella ratifica della riforma del Mes, il meccanismo di stabilità finanziaria dell’area euro, e siamo gli unici che ancora non lo hanno fatto, e la nostra difficoltà a mettere in pratica i progetti del Pnrr. Patto di Stabilità, Mes e Pnrr sono tre partite distinte ma profondamente connesse, e l’Italia dovrà mostrare grande capacità diplomatica per portare a casa risultati anche politicamente spendibili.

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