Il ceto medio
super tartassato

La forbice tra ricchi e poveri è la misura dell’indigenza di un Paese, non della sua ricchezza. È dal fondo che bisogna guardare. In Italia questo divario sta aumentando. Il venti per cento della popolazione con i redditi più alti ha entrate sei volte superiori rispetto al venti per cento di quella che le ha più basse. I dati ci sono forniti dall’Eurostat. Il divario nel nostro Paese è aumentato nel 2018, passando dal 5,92 al 6,09. L’Italia, uno degli Stati più industrializzati e sviluppati del mondo, ha il rapporto peggiore tra gli Stati più importanti dell’Unione europea, con la Germania a 5,07, la Francia a 4,23, il Regno Unito a 5,95 e la Spagna a 6,03 (in deciso calo sull’anno precedente). Vuol dire semplicemente che il loro ceto medio sta meglio, mentre il nostro scivola nella povertà. Ma l’Italia non è una sola, si sa, sono tante Italie.

Analizzando i dati delle diverse regioni il Friuli Venezia Giulia ha un indice del 4,1. Significa che il benessere è più «spalmato», che le differenze di reddito sono meno vistose. Anche il Veneto e l’Umbria segnano un indice «francese» del 4,2. Al Sud la situazione precipita, con la Sicilia e la Campania che registrano divari ampi. I benestanti sono 7,4 volte più ricchi degli indigenti. In Lombardia, la regione più produttiva, il dato si ferma al 5,4. La provincia di Bolzano è quella che ha meno disuguaglianze tra i redditi, con la fascia top più alta di quattro volte rispetto a quella più povera.

C’è poi un altro dato interessante e significativo che emerge dal rapporto Eurostat: la differenza varia anche a seconda delle classi di età, con gli over 65 che grazie alle pensioni resistono meglio e hanno un rapporto tra il 20 per cento con i redditi più alti e il 20 per cento con i redditi più bassi del 4,86. Mentre gli under 65 hanno un rapporto del 6,55. Ma che l’Italia non fosse un Paese per giovani lo sapevamo da tempo. Questi dati confermano l’effetto leva dei redditi più abbienti, capaci di lievitare, in contrasto allo scivolamento verso il basso della classe media. È un fenomeno non certo solo italiano, ma mondiale, che però, come abbiamo visto, gli altri Stati europei riescono a contenere.

Secondo un recente rapporto Oxfam, in Italia il 5 per cento più ricco detiene la stessa quota di ricchezza posseduta dal 90 per cento più povero del Paese. Le ragioni di questo stato di cose sono molteplici. Ma è evidente che qualcosa non funziona sul piano della politica fiscale e sulla redistribuzione delle risorse. Chi detiene grossi capitali dispone di un vantaggio che porta a ulteriori risorse. Gli economisti lo chiamano «vantaggio cumulativo». Le élite finanziarie, a differenza di tutti gli altri, in questi anni di crisi non se la sono passata affatto male in tutto il mondo e anzi hanno aumentato i loro capitali. Tra l’altro questo fenomeno, a lungo andare, può avere conseguenze sociali molto pericolose e preoccupanti. In America e in Brasile gli abbienti tendono a vivere sempre più isolati, in residence fortificati, non solo per evitare i ladri, ma anche per scongiurare rivolte e assalti della povera gente. In Italia non si è mai applicata una patrimoniale, anche se ci sono stati persino esponenti dell’alta finanza che l’hanno proposta per sé stessi. Inoltre i ricchi – quelli veri, con redditi altissimi, i cosiddetti super-ricchi, quasi un club esclusivo – hanno una tassazione equivalente a quella del ceto medio. Che non a caso si impoverisce di anno in anno. Ma un Paese senza una classe media - dove le tasse non sono modulate equamente, progressivamente, come ci dice anche la Costituzione - è un Paese poco civile e poco democratico.

© RIPRODUZIONE RISERVATA