Il feeling tra governo Meloni e imprese

ECONOMIA. Chi voleva misurare il grado o di simpatia o di convergenza (di interessi) tra gli imprenditori italiani e il governo di Giorgia Meloni doveva andare ieri all’assemblea di Assolombarda, la più importante associazione imprenditoriale italiana, termometro assai sensibile di questi rapporti tra i ceti dirigenti della politica e dell’economia.

Anche se qualcuno ha trovato poco concreto il discorso della presidente del Consiglio, i punti di convergenza non sono certo mancati. Uno, tra tutti: la difesa della manifattura italiana, del suo ruolo e della sua dimensione europea. Su questo Meloni è stata netta, anche a costo di andare contro il mainstream ambientalista europeo che non sembra sempre attento fino in fondo alla sostenibilità economica e sociale della sua accelerazione green.

E così al presidente dell’Assolombarda Spada (secondo il quale «gli ambiziosi obiettivi ambientali Ue stanno intaccando la competitività delle imprese manifatturiere»), Meloni ha risposto respingendo i diktat della Commissione per esempio sui motori a combustione fossile da mandare in pensione nel 2035 con grave rischio per l’automotive italiano. E allo stesso Spada che metteva in guardia dalla possibile subordinazione europea alla Cina nel campo delle batterie e delle terre rare, Meloni ha annunciato un Chips Act italiano che implementi l’analoga determinazione europea in materia di microprocessori. E poi ha sicuramente colpito il sì degli imprenditori lombardi al nucleare di ultima generazione e anche alla riforma (voluta dai leghisti) dell’autonomia differenziata per le Regioni.

Certo, sul Pnrr Meloni ha chiesto un atto di fede agli imprenditori: mentre il governo si affanna a spiegare che non c’è alcun ritardo, neanche nel pagamento della terza rata (che per la verità doveva arrivare a metà marzo ed è attesa per settembre) e tantomeno della quarta, Meloni ha giurato che «costi quel che costi» si riuscirà a «mettere a terra quei fondi» prendendosela – ma qui ha prevalso un po’ la vecchia cultura di opposizione di FdI – con quelli che si augurerebbero un fallimento dell’Italia mentre dovrebbero cooperare tutti insieme per il suo successo.

Ferma la posizione sul Mes nel tentativo di trattare le clausole del nuovo Trattato di Stabilità, Spada ha condiviso la proposta di estrapolare dal debito gli investimenti strategici del Pnrr in materia green.

Se insomma il clima con gli imprenditori della regione più industrializzata d’Italia segna tempo buono, da registrare semmai le tensioni interne alla maggioranza man mano che si avvicinano le elezioni europee della prossima primavera. Per esempio, è già caldo il tema delle alleanze. A gettare il sasso è stato Matteo Salvini che ha proposto un grande rassemblement di tutte le destre europee da contrapporre ai socialdemocratici. Impossibile, è stata la risposta di Antonio Tajani, contrarissimo – come tutto il Ppe – ad accordarsi con Marine Le Pen e la tedesca Afd che sono invece alleati di Salvini. Meloni viaggia, insieme a Tajani, verso un accordo con il Ppe dei suoi «Conservatori e Riformisti», accordo che lascerebbe fuori proprio Salvini, e questo può avere riflessi politici interni. La speranza di Meloni e Tajani e dei popolari dell’Unione è di raggiungere una maggioranza tale da escludere un nuovo rapporto con i socialdemocratici, cosa che però potrebbe non realizzarsi obbligando a rinnovare il patto che regge la Commissione von der Leyen-Timmermans. In questo caso i leghisti avrebbero buon gioco a criticare Fratelli d’Italia, alleato in Europa dei socialisti piuttosto che del Carroccio e dei suoi sodali. Scaramucce, per ora, che però fanno capire che le prossime europee saranno un test assai significativo, da tutti i punti di vista.

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