Il G7 schierato e i Caccia F-16

MONDO. In attesa di incontrare il presidente ucraino Zelens’kyj, i leader dei Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti) riuniti in Giappone hanno stabilito la linea da tenere sulla questione che sta scuotendo gli equilibri mondiali: la guerra in Ucraina. E la linea è: si va avanti così.

Nessun negoziato, nessuna mediazione, nemmeno quelle proposte dal Vaticano o dalla Cina. Aiuti militari e finanziari a Kiev nella massima misura possibile e senza limiti di tempo. Se la Russia vuole trattare, deve farlo sulla base del piano di pace in dieci punti redatto dallo stesso presidente Zelens’kyj. Cosa che, come i capi di Stato e di Governo del G7 sanno bene, presuppone il ritiro completo dei russi entro le frontiere del 1991. E quindi è quasi impossibile. Finché il Cremlino potrà continuare a combattere, lo farà. E se davvero si avvicinasse la prospettiva di un tracollo delle sue forze armate, sia Putin sia noi dovremmo confrontarci con la minaccia, più volte avanzata e comunque prevista dalla dottrina militare russa in caso di «pericolo vitale» per la Federazione, di un impiego delle bombe atomiche tattiche.

Era chiaro fin dalla vigilia che si sarebbe andati verso la decisione di sostenere l’Ucraina in guerra come e fino a quando necessario. E la certezza l’aveva data la Casa Bianca proprio alla vigilia del summit giapponese, comunicando di «non opporsi» ai Paesi alleati che decideranno di fornire a Kiev i caccia F-16 di produzione americana. Da molto tempo Zelens’kyj e i suoi chiedono ai Paesi europei di fare questo passo e la situazione sul campo spiega bene perché. Nessuna controffensiva ucraina può riuscire se i russi continuano ad avere il controllo quasi totale dello spazio aereo, alimentato da un sistema industrial-militare che continua a girare con buona efficienza: i missili caduti su Kiev pochi giorni fa, secondo le conclusioni dei servizi di sicurezza ucraini, erano stati prodotti già nel 2023. E questo tanto più vale se la contraerea ucraina è costretta a stare lontana dal fronte (che in inverno è stato pure fortificato dai russi) per proteggere gli arsenali e le truppe concentrati nelle retrovie. I caccia servono per invertire la tendenza e consentire alle truppe e ai mezzi corazzati di avanzare, arrivare al fronte e magari sfondarlo.

Il che riporta, però, all’orientamento del G7. Schierandosi senza sfumature sulle posizioni di Zelens’kyj, europei, americani e giapponesi hanno deciso di puntare sull’esito positivo della tanto annunciata controffensiva ucraina. Una decisione coerente con quelle finora prese nel primo anno e mezzo di guerra, e che di certo è basata non solo sui ragionamenti dei politici ma anche sulle informazioni dei servizi segreti e sulle analisi dei militari. Decisione, però, tutt’altro che priva di rischi. E se il successo non arrivasse? E se fosse parziale? Lo spettro è vivere altri sanguinosissimi mesi di guerra senza aver raggiunto lo scopo, che da molto tempo ormai non è difendere l’Ucraina dal crollo (obiettivo centrato già dopo i primi mesi dell’invasione) ma piegare la Russia, farla recedere non solo dai territori annessi nel 2014 (la Crimea) e nel 2002 (le regioni di Donetsk e Luhansk, più quelle di Kherson e Zaporižžja) ma anche dall’ambizione di ridiscutere in maniera radicale e violenta gli equilibrii mondiali d’impronta liberal-democratica di cui il G7, appunto, si sente custode. In altre parole, il rischio è di prolungare la guerra per ritrovarsi alla fine con una situazione di tipo coreano: né pace né guerra, un finto confine frutto di un armistizio e non di un trattato di pace, una sorta di Donbass allargato rispetto a quello in cui scoppiò la guerra nel 2014, uno stillicidio di guerra-non guerra come quello che nell’Ucraina dell’Est ha provocato 14mila morti tra il 2014 e il 2022.

Com’è ovvio, non ci sono soluzioni facili a problemi così complessi. E lo si è visto proprio ieri. Zelensk’yj ha parlato ai Paesi della Lega Araba, e ha rinfacciato loro di aver chiuso gli occhi davanti all’annessione della Crimea. Mohammed bin Salman, l’uomo forte dell’Arabia Saudita, gli ha risposto dicendosi disposto a fare da mediatore con la Russia, cosa che deve aver fatto infuriare il presidente ucraino che mette la trattativa al pari della resa. Nelle stesse ore, i leader del G7 hanno detto che «saranno presi provvedimenti» contro i Paesi che non partecipano alle sanzioni contro la Russia. Una dizione assai generica, giustificata però dal fatto che «prendere provvedimenti» contro giganti come India, Cina, Brasile, Arabia Saudita e Sudafrica, per fare solo qualche esempio, non è facile. Ma è proprio questo che spiega perché la guerra decisa da Putin è partita, dura tanto e, fatto da non dimenticare mai, non lascia trapelare da parte del Cremlino alcuna volontà reale di chiuderla per via diplomatica.

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