Il lavoro povero, proposte e scommesse

IL COMMENTO. Dopo le due ore dell’incontro di ieri a Palazzo Chigi, è davvero improbabile che il governo e le opposizioni riescano nei prossimi mesi a trovare una posizione comune sul cosiddetto «salario minimo». Dalle conclusioni della riunione, che pure si è tenuta all’insegna del dialogo, si è capito che la questione è considerata da Pd e M5S un modo per inchiodare la destra di governo attribuendole la volontà di «fare la guerra ai poveri» rifiutando di adottare uno strumento che invece, secondo i suoi proponenti, aiuterebbe i tre milioni e passa di lavoratori che vengono pagati al di sotto della soglia dei 9 euro.

Se poi da Giorgia Meloni fosse arrivata una vera apertura al testo unitario predisposto dalle opposizioni, queste ultime avrebbero proclamato di essere riuscite a piegare un governo di destra «mettendogli di fronte i lavoratori poveri» come si è espressa la segretaria del Pd: ma questa apertura non è venuta perché quello del salario minimo è uno strumento cui il governo non crede, anzi lo ritiene potenzialmente dannoso per tutti quei lavoratori che, al riparo della contrattazione sindacale, hanno paghe superiori a quella soglia e che paradossalmente potrebbero vedersele ridurre «per legge».

Per questa ragione la presidente del Consiglio ha preferito rivolgersi ad un terzo soggetto, teoricamente neutrale, quale è il Cnel (oggi presieduto da Renato Brunetta che cerca di rivitalizzare un organismo dai più considerato inutile e costoso, tanto che Matteo Renzi lo voleva abolire con il referendum). Al Cnel Meloni chiede di elaborare in sessanta giorni una proposta complessiva sul cosiddetto «lavoro povero» mettendo a confronto le varie tesi oggi circolanti, quelle della maggioranza, dell’opposizione e delle parti sociali. Ma questo metodo è stato giudicato «offensivo» da Giuseppe Conte e anzi, stando a Elly Sclein la premier avrebbe così voluto «gettare la palla in tribuna». Non è nemmeno chiaro se le sinistre andranno ai colloqui che Brunetta organizzerà con loro e le organizzazioni sociali subito dopo Ferragosto. Sarà invece per loro molto più utile, dal punto di vista della propaganda di partito, continuare ad insistere sulla proposta scritta da Pd e M5S insieme alla Cgil «su cui - come dice Schlein - c’è già un largo consenso popolare» e agitarne la bandiera in vista delle elezioni della prossima primavera che ormai determinano le mosse di tutti i partiti. Salvini bolla questa come una «posizione ideologica» sapendo che da essa la destra di governo deve difendersi per non esporre alla propaganda di sinistra e grillina i giacimenti elettorali soprattutto del Meridione. A Sud, Fratelli d’Italia in particolare raccoglie tanti voti di ceti popolari e ultra-popolari (già in rivolta per via della cancellazione del Reddito di cittadinanza) e deve muoversi con cautela.

La scommessa del governo in realtà sta tutta nelle parole con cui Giorgia Meloni ha commentato la riunione di ieri: «Noi puntiamo sulla crescita dell’economia senza la quale non ci sono stipendi e redditi che crescono». Rivendicando i buoni numeri sull’occupazione (disoccupati al minimo, record di contratti stabili) anche Salvini ha rimesso in mostra il «suo» cavallo di battaglia, che sono i cantieri e soprattutto il Ponte dello Stretto «che da solo creerà 100mila posti di lavoro ben pagati, altro che sussidi e mance». È però un obiettivo di lunga gittata messo in crisi ogni giorno dall’inflazione, dalle bollette ancora troppo alte, dai mutui e prestiti sempre più cari e ormai per molti inarrivabili.

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