Il malessere demografico

Immaginiamoci seduti attorno a un tavolo, con la nostra famiglia allargata, per il pranzo della domenica; non avremo bisogno di trasformarci in raffinati statistici o in demografi di professione per prendere atto di un fenomeno tanto semplice quanto importante: ogni gruppo di popolazione, dal più piccolo al più grande, varia nel tempo per composizione numerica e per caratteristiche qualitative.

Proviamo a distoglierci per qualche minuto dalle conversazioni conviviali o dai saltuari diverbi domenicali e guardiamoci attorno: vedremo un nucleo familiare (in media) sempre più ristretto, oltre a equilibri cangianti tra adulti e bambini, tra nonni e nipoti, con i primi (in media) in significativo aumento e i secondi (in media) sempre più rari anche soltanto rispetto a qualche decennio fa. Eppure è sufficiente abbandonare il pranzo della domenica perché la nostra percezione dei mutamenti demografici finisca per essere distorta in altri contesti, quando per esempio ci spostiamo al di fuori della cerchia familiare per camminare nelle strade del centro cittadino o quando ci muoviamo su autostrade piene di vetture. In queste occasioni sembriamo sempre «gli stessi», anziani e giovani allo stesso modo, «tanti» come al solito, qualche volta – come nel traffico – perfino «troppi». Una simile percezione è frutto di una prospettiva ingannevole, eppure essa ci ha spinto spesso a pensare che il malessere demografico che affligge il nostro Paese da anni non stesse causando chissà quali scompensi e danni. In realtà non è così, e faremmo bene a prenderne atto se non vorremo arrivare a un punto di non ritorno in cui le conseguenze economiche e sociali dei nostri squilibri demografici – causati da fortissima denatalità e intenso invecchiamento – saranno irrimediabili.

Il cambiamento demografico, consentitemi il paragone, assomiglia a un motore elettrico di ultima generazione per automobili: può avere prestazioni straordinarie in termini di durata, può raggiungere velocità di punta di tutto rispetto superando perfino potenti motori endotermici, e tutto questo rimanendo silenziosissimo. Ora, però, come dimostrano con efficacia i dati pubblicati oggi da L’Eco di Bergamo sul futuro demografico della provincia orobica, qualcosa in questo motore elettrico di ultima generazione si è inceppato. Cominciamo a sentire rumori sinistri frutto di una emergenza troppo a lungo insabbiata e trasformatasi appunto in un malessere profondo e cronicizzato.

Innanzitutto la popolazione residente in provincia di Bergamo nei prossimi dieci anni diminuirà in termini assoluti, nonostante i flussi migratori stimati dall’Istat, ecco la prima notazione che emerge dai dati. Una tendenza che ricalca quella in atto da oltre cinque anni in tutto il Paese. Eppure non è questo il dato con le conseguenze più eclatanti. A calare sarà soprattutto il numero di neonati, in linea con quanto accaduto ancora nel 2021 in tutta Italia, quando le nascite sono scese per la prima volta nella storia nazionale sotto quota 400.000 (erano un milione alla metà degli anni Sessanta). L’impatto negativo sul futuro della scuola – per fare un esempio - non è affatto fantascienza, considerato che soltanto tra lo scorso anno scolastico e quello in corso nelle aule della penisola si sono registrati centomila allievi in meno. La necessità di adeguare personale, servizi e strutture alla nuova realtà si fa sentire già oggi. Gli squilibri demografici, poi, renderanno più difficile creare ricchezza, visto che la forza lavoro degli under 35 – quella tipicamente più associata a nuove imprese e progetti innovativi – si va assottigliando senza sosta. Se la forza lavoro nel complesso tiene, infatti, lo dobbiamo a una crescita dei lavoratori più anziani grazie alle recenti riforme pensionistiche. Intanto il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) è già oggi a un livello di allarme, circa tre a due, e arriverà secondo l’Istat a uno a uno nel 2050. Un drastico impoverimento del nostro welfare pubblico non è difficile da prevedere.

Per anni abbiamo ignorato l’emergenza demografica, un po’ per gli strani scherzi giocati da una prospettiva ingannevole ed egocentrica, un po’ per motivi ideologici (tra ecologismo integralista e ossessione per le fantasie nataliste del fascismo del secolo scorso). Oggi il malessere demografico del nostro Paese, nella scuola come sui posti di lavoro, è uscito allo scoperto ed è sotto gli occhi di tutti. Sarebbe un comportamento irresponsabile, nei confronti di noi stessi e non più solo delle future generazioni, voltarsi dall’altra parte.

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