Il No al Mes una sorpresa, ma l’Italia dovrà pagare

POLITICA INTERNA. Un autentico colpo di scena: la Camera ha bocciato la ratifica del Mes rinnovato. E il no è stato trasversale: nella maggioranza il rifiuto è arrivato da Fratelli d’Italia e dalla Lega, ma non da Forza Italia e dai Moderati che si sono astenuti.

E, nell’opposizione, il sì è stato espresso dal Pd ma non dal M5S che ha votato contro mentre Sinistra e Verdi si sono astenuti. Risultato: il Fondo salva Stati, quello che deve garantire la solidità bancaria e dei Paesi della zona euro di fronte alle turbolenze del mercato, nel Parlamento italiano ha ricevuto la miseria di 72 voti contro 184 no e 44 astensioni. Da notare che la motivazione del rigetto sta più nelle prerogative parlamentari che sarebbero in qualche modo eluse dalla riforma della normativa che regola il Fondo, soprattutto in materia di dotazione finanziaria dello stesso, piuttosto che dal funzionamento stesso del Mes «rinnovato». Quindi a leggere il testo della mozione votata a Montecitorio, a mettersi in mezzo sarebbero stati i deputati e non il governo. Ma questa è solo una mezza verità.

Tutti i giornali, tutti gli osservatori, tutti gli attachè delle cancellerie dei Paesi alleati erano convinti che, dopo l’accordo all’Ecofin sulle nuove regole previste dal Patto di stabilità, regole che il ministro italiano dell’Economia aveva definito «ragionevoli ed efficaci», l’Italia si sarebbe finalmente decisa a mettere quella benedetta firma sotto la riforma del Mes, essendo l’unico tra i venti Stati della zona euro a non averlo ancora fatto. Siccome Roma si era mossa (tra alti e bassi, in verità) secondo una logica «a pacchetto» per cui a Patto di stabilità accettabile per noi avrebbe corrisposto la ratifica del Mes (do ut des), ora che quelle norme erano state finalmente raggiunte, giocoforza sarebbe arrivato anche il sì della Camera al Mes. E invece no. Perché? Due le scuole di pensiero. La prima dice così: non è vero che l’Italia abbia condiviso spontaneamente l’accordo franco-tedesco sul Patto di stabilità che ha sbloccato la situazione dopo mesi di trattative infruttuose. Se lo è fatto andar bene perché costretta, perché altrimenti sarebbe rimasta isolata in Europa, perché insomma le pressioni erano troppo forti per poter resistere oltre. Più di quello che è stato concesso (flessibilità nel rientro del deficit e del debito, maggiore durata de periodo di transizione, mancato conteggio delle spese per green, digitale, difesa, ecc.) non era possibile ottenere e, obtorto collo, alla fine Giorgetti ha detto sì e la Meloni ha rinunciato a sventolare, come aveva fatto negli ultimi giorni, la minaccia del veto, addirittura.

Però poi sarebbe arrivata la ritorsione italiana: il no al Mes, deciso direttamente dalla presidente del Consiglio. Se fosse così, sarebbe un atto di ostilità all’Unione molto pesante da parte di Palazzo Chigi che pregiudicherebbe quella marcia di avvicinamento del governo della destra verso il cuore del potere europeo.

Una seconda scuola di pensiero dà una spiegazione invece tutta di politica interna. Siccome la Lega si è irrigidita sul Mes, sua battaglia da sempre (e infatti oggi Salvini sui social esulta), Giorgia Meloni non ha potuto, votando sì alla ratifica, regalare all’alleato-competitor un’arma così efficace in campagna elettorale. Sarebbe stata messa in discussione una linea di Fratelli d’Italia sempre sostenuta ai tempi dell’opposizione, e questo avrebbe comportato un prezzo elettorale troppo alto da pagare. Ora bisogna vedere come reagiranno i Paesi partner e la Commissione, e magari i mercati. Palazzo Chigi ha scritto che per l’Italia, che gode di un sistema bancario solido, la questione del Mes non era «di rilevante interesse». Ma come ricordava qualche tempo fa Pascal Donohoe, presidente dell’Eurogruppo, le conseguenze della mancata unanimità si riversano su tutti i venti Paesi membri del club. E questo prima o poi ci verrà fatto rilevare (come si dice a Bruxelles quando non si vuole usare la parola «vendetta»).

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