Il turismo vola in Italia ma il Paese soffre del calo di investimenti industriali

ECONOMIA. A Milano Borsa Internazionale del turismo (Bit) ha preso il via con mille espositori provenienti da 66 Paesi. L’Italia si conferma leader nel segmento lusso e offre prospettive di crescita in tutto il comparto.

I margini di sviluppo sono legati alla capacità degli operatori di offrire opportunità vantaggiose anche nei cosiddetti periodi morti. Ma per fare il salto occorre migliorare le strutture che soprattutto al Sud non risultano sufficientemente attrattive con dotazioni moderne e adeguate al gusto della clientela internazionale. Nelle stesse ore il presidente del Consiglio Giorgia Meloni atterra in Giappone in visita di Stato. L’ obiettivo è portare investimenti in Italia, creare impianti competitivi e rendere possibile un rilancio dell’attività produttiva. Nel 2023 nel nostro Paese l’occupazione è cresciuta di quasi mezzo milione di addetti. Un dato di rilievo se si considera che sono circa 24 milioni coloro che hanno un posto di lavoro. La valenza del numero riguarda però la dimensione sociale.

Più gente lavora meglio è per tutti e per il governo in primo luogo. Il problema è che la produttività ristagna e addirittura arretra. Vuol dire che molti dei lavori non creano plusvalore. Da qui le basse retribuzioni, la vera piaga italiana. La Germania in questi giorni è sconvolta da un’ondata di scioperi, la rivendicazione è una sola: aumenti di stipendi. E questo quando la Germania è in recessione. Ma tutti sanno che gli imprenditori approfittano di questa fase negativa per attrezzarsi per il futuro e quindi investono. Anche in Italia potrebbe essere così ma purtroppo gli investimenti sono in calo nel 2023 dell’1,1% anche nel terzo trimestre. Regna incertezza perché ancora non si è capito bene quale sia la linea del governo nella politica industriale. Ed è un problema soprattutto per le piccole e medie imprese che non hanno grossi margini di finanziamento soprattutto con i tassi ancora elevati. Vi è anche da dire che la grande impresa ha lasciato il Paese al suo destino o vendendo per poi impegnare il capitale in attività finanziarie o delegando a imprese straniere la guida dell’attività produttiva e riservarsi il ruolo di azionista di controllo ma fuori da ogni logica di interesse nazionale.

Esemplare in tal senso il caso di Stellantis che affida il futuro dell’industria automobilistica ai concorrenti. La finanza è apolide e guarda la convenienza. Ma in Europa Volkswagen ha tra i suoi soci il Land della Bassa Sassonia che rappresenta gli interessi della collettività del Land e di tutta la Repubblica Federale. In Francia Renault è di fatto dello Stato e Peugeot quando negli anni scorsi i cinesi volevano entrare in forza nell’azienda ha optato anch’essa per l’entrata del socio pubblico nell’azionariato. Al momento della fusione tra Fca e il gruppo Psa lo Stato italiano ha ritenuto di non intervenire. È il ritardo di una classe dirigente che scopre il liberismo economico quando i Paesi concorrenti se ne sono liberati. Nei momenti di transizione è necessario che lo Stato dia indirizzo e sostegno a chi vuol investire. In America Obama non esitò a fornire a Marchionne i miliardi necessari per salvare Chrysler. Vennero restituiti. Ecco la lezione perché un Paese senza industria è destinato al declino anche se il turismo tira.

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