Il valore dell’impresa e il bisogno di timonieri

ECONOMIA. C’è un dato che emerge, fra gli altri, nell’interessante rapporto su fusioni e acquisizioni commissionato a Kpmg da Confindustria Bergamo e presentato nei giorni scorsi.

Si tratta del numero di operazioni messe a segno da imprese bergamasche e di quelle invece «subite», con i rispettivi controvalori. In tredici anni e mezzo, dal 2010 al mese scorso, le nostre aziende hanno comprato 225 realtà per un valore complessivo di un miliardo e 600 milioni di euro. Nello stesso periodo, sono state vendute 219 imprese bergamasche per un valore totale di 6,6 miliardi di euro. La distanza in termini di peso economico fra le due tipologie di operazioni è evidente. Mentre infatti i numeri assoluti delle compravendite non sono molto distanti, 225 acquisizioni contro 219 cessioni, la sproporzione nei valori monetari, 1,6 miliardi contro 6,6, c’è e rimane, pur con una forbice ridimensionata, anche al netto della maxi vendita di Italcementi ai tedeschi di HeidelbergCement, annunciata il 28 luglio 2015 e portata a termine nel 2016 con la cessione del 45% della società per 1,67 miliardi di euro e una successiva Opa sul capitale rimanente per altri 2 miliardi.

La prima considerazione che se ne ricava è positiva: le imprese bergamasche sanno creare valore, apprezzato e riconosciuto dal mercato, non solo domestico dal momento che il 40% delle cessioni hanno avuto come destinazione società estere. E qui potrebbe scattare l’allarmismo della serie «ci colonizzano» oppure «ci portano via i gioielli di famiglia». Ma teniamocene alla larga: l’arrivo di investitori anche da oltre confine non è di per sé una minaccia di sventura. La storia dell’industria bergamasca è segnata da alleanze virtuose che hanno fatto crescere imprese e territorio nel tempo. Non dimentichiamo che comprare un’azienda significa, di solito, «comprare» ciò che la fa funzionare al meglio: conoscenze e professionalità dei lavoratori, impianti e tecnologie, rete di forniture e servizi. In altre parole, casi di impoverimento purtroppo non sono mancati in passato e potranno non mancare in futuro, ma in genere l’impresa serve al territorio e il territorio serve all’impresa, ragione per cui chi compra anche su quest’ultimo investe, specie in un contesto votato al fare e al costruire come il nostro e specie dopo gli anni della pandemia, che hanno mostrato a livello globale come forniture vicine o lontane non siano più del tutto intercambiabili.

Quindi, va tutto bene? Speriamo di sì. Una preoccupazione, tuttavia, si affaccia. Che il rischio d’impresa si sposti altrove, in termini di capitale investito e d’intelligenza applicata, porta comunque ad assottigliarsi la comunità imprenditoriale bergamasca. Anche qui, restiamo lontani dai catastrofismi. Negli ultimi anni sono cresciute, spesso nel silenzio e sottotraccia, esperienze nuove, promettenti, anche in settori prima inesplorati come il digitale. Voglia e capacità di fare impresa, quindi, in Bergamasca esistono ancora e la vivacità non si è persa.

C’è però un dato sul tema che torna alla mente e che va tenuto nella giusta considerazione. Un’altra analisi voluta da Confindustria Bergamo, questa volta sull’evoluzione demografica, ha rilevato infatti che negli ultimi vent’anni il numero di titolari, soci e amministratori d’impresa è aumentato in termini assoluti, ma la sua composizione si è progressivamente sbilanciata verso gli ultracinquantenni. In altri termini, come invecchia la popolazione, invecchia pure la governance delle aziende. Basti pensare che, dal 2000 in poi, il peso dei vertici con meno di 30 anni è diminuito dall’8% al 4% e che, allo stesso modo, la classe d’età fra i 30 e i 50 anni si è ridotta dal 52% al 37%. Gli over 50 rappresentano invece ormai il 60% del totale (erano il 40%).

Se è difficile trovare lavoratori, ancor più lo è «trovare» imprenditori. C’è quindi da augurarsi che chi si sente di buttare il cuore oltre l’ostacolo e raccoglie la sfida possa trovare sempre nella nostra provincia terreno fertile, anche, se non soprattutto, in termini di supporto finanziario, per piantare e coltivare l’impresa.

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