Impariamo ad agire
vincendo l’inerzia

In un libro ormai celebre di quasi trentacinque anni fa, La fragilità del bene, Martha Nussbaum spiega come l’esposizione a eventi che sono al di là del nostro controllo ci renda vulnerabili, al punto da poter compromettere o addirittura negare la nostra crescita umana e etica. Ecco, il Covid-19 sembra proprio che ci metta in una situazione di questo tipo, poiché condiziona, è inutile negarlo, in senso positivo o negativo le nostre scelte e le componenti etiche essenziali della nostra vita.

Questo evento però, per quanto allarmante e angosciante sia, non deve affatto paralizzarci né, tanto meno, farci perdere di vista che le crisi, le difficoltà, si superano soltanto con la conoscenza, affrontandole cioè con lucidità e raziocinio. Il fatto che siamo vulnerabili non implica che non possiamo limitare i rischi, anche perché in questo caso siamo in grado di esercitare un controllo e arginare la propagazione del virus, fino a debellarlo del tutto. Molte catastrofi sono il prodotto di comportamenti erronei. Bisogna quindi seguire con scrupolo e senso di responsabilità tutte le norme di prevenzione che gli esperti e le autorità ci indicano, anche se limitano le nostre consuete pratiche sociali.

Ma forse possiamo fare anche altro. E qui parlo come docente e come rettore che sta registrando minuto per minuto, anche in qualità di Presidente della Conferenza dei rettori della Lombardia, l’enorme disagio che l’emergenza virus sta creando. Non serve a nulla star fermi, ce lo diciamo anche tra noi rettori lombardi che abbiamo subito creato un gruppo whatsapp, per confrontarci, per prendere e condividere decisioni: siamo diventati una sorta di famiglia allargata. Anzitutto, abbiamo capito che bisogna trasformare questo momento di paralisi imposta in un’opportunità, sfruttando le possibilità offerte dalle nuove metodologie formative, come la didattica a distanza. Voglio essere chiaro: non si tratta affatto di sostituire la didattica frontale in presenza, quella del confronto tra docente e studenti, che è qualcosa di insostituibile, rappresentando un momento di crescita formativa e educativa. Sto dicendo che come accade quando, per esempio, esigenze straordinarie portano a essere lontani dai propri cari e ci si «accontenta» di vederli tramite Skype, altrettanto deve accadere in questa situazione di momentanea impossibilità a essere in aula. Passata la crisi, e passerà ovviamente, ci rivedremo tutti in aula con la consueta didattica, che magari impareremo ad apprezzare un po’ di più.

Certo, mi rendo conto che l’emergenza che stiamo vivendo, le restrizioni che essa impone hanno e avranno delle pesanti ripercussioni di tipo economico. Sono tuttavia convinto non solo che la salute è un bene così prezioso da non poter essere comparato con nessun tipo di interesse economico, ma che saremo senz’altro in grado, non appena supereremo questo momento, di far ripartire anche l’economia con maggior slancio. E la sospensione dell’attività didattica, quella cioè in presenza, di tutte le scuole e delle università nel nostro Paese fino al 15 marzo decisa dal Governo ieri sera, va proprio in questa direzione, serve a preservare e tutelare innanzitutto questo bene inalienabile che è appunto la salute.

In ogni caso, fa parte della salute, della salute mentale, psicologica, intendo dire, garantire un minimo di normalità e di continuità. Mi riferisco sia alle lezioni (nelle modalità dette prima), sia al momento culminante della vita universitaria: il conseguimento della laurea. Abbiamo il dovere di garantire sia le lezioni, sia le scadenze delle lauree, anche se in forme alternative rispetto a quelle tradizionali. E lo dico comprendendo benissimo gli accorati appelli che tanti studenti che si devono laureare nelle prossime settimane mi stanno inviando, chiedendomi di consentire loro una cerimonia tradizionale, aperta ai loro familiari e ai loro amici. Ecco, con il “cuore”, come in molti mi scrivono, sono con loro, ma la ragione e la responsabilità mi portano a invitarli a comprendere che non si può fare, che sarebbe un comportamento illogico, rischioso e colpevole.

Avremo modo, è un impegno che prendo pubblicamente, di festeggiare a tempo debito, quando ci saranno le condizioni di sicurezza necessarie per farlo. Anche perché vorrei proprio che questa emergenza che stiamo affrontando non penalizzi proprio i giovani, per i quali anzi nel breve medio periodo devono essere fatti ulteriori e mirati investimenti per stabilizzare le posizioni di quanti di loro vivono nel precariato e danno contributi di inestimabile valore, come nel caso delle tre ricercatrici (tutte e tre precarie) dell’Ospedale Sacco di Milano che hanno isolato il coronavirus. Ma bisognerà adoperarsi anche per dare maggiori certezze a tutti quei neolaureati che si accingono a intraprendere la carriera accademica, accorciando i tempi di attesa e riconoscendo il merito, un lavoro che noi a Bergamo abbiamo avviato da tempo.

È difficile abituarsi a ritmi diversi da quelli cui eravamo abituati, soprattutto quando non siamo noi a deciderli, ma ci vengono imposti dalle circostanze. Ci sentiamo appunto fragili, vulnerabili, nelle condizioni descritte assai bene da Martha Nussbaum. Siamo però sempre in grado di far qualcosa di utile, concretamente, per mantenere (ancora) il più possibile le scadenze previste nella vita sociale di ognuno di noi. Soltanto così possiamo sfuggire a quello che percepiamo come un destino imposto, il quale almeno in parte, è spesso frutto della nostra inerzia e della nostra incapacità di agire in modo diverso.

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