Imprese reattive
e urgenze da risolvere

Buone notizie sul fronte economico e vale la pena sottolinearle. I dati di fine 2021 relativi al nostro sistema manifatturiero, con la produzione industriale cresciuta in un anno del 17,4% e quella artigiana del 16,4%, confermano con quanta forza le nostre imprese hanno reagito allo choc causato dalla pandemia di Covid-19. Lo stop produttivo della primavera del 2020 è un ricordo, non ancora abbastanza lontano. Il rigore organizzativo continua invece a essere cronaca di tutti i giorni. Così come sono cronaca quotidiana la fatica a far tornare i conti con l’impennata dei costi delle materie prime e della bolletta di gas ed energia elettrica e, non ultimi, i timori per una possibile guerra a Est, fattasi più remota nelle ultime ore ma non ancora del tutto scongiurata.

Non a caso, le attese degli imprenditori registrate per l’inizio del 2022 si mostrano positive ma in leggera flessione rispetto alle rilevazioni precedenti. Tenendo sullo sfondo questi campanelli d’allarme, oggi c’è comunque da tirare un sospiro di sollievo e, perché no, lasciarsi andare ad un applauso sommesso, per non scalfire troppo il bergamasco low profile. Che la nostra manifattura sia forte, lo sappiamo. Che sia abituata a fare meglio della media regionale, anche. Che in meno di due anni, visto che il 2020 è stato un anno a metà, sia riuscita a recuperare e superare i livelli precedenti alla pandemia e mettere a segno nuovi record, è un risultato di cui essere orgogliosi.

Non era scontato. Al netto della tragedia umana con cui ciascuno, qui dalle nostre parti, in un modo o nell’altro ha dovuto fare i conti, sullo stretto piano delle imprese e del lavoro ci sono state regole, restrizioni, riorganizzazioni da affrontare. C’è stato da accaparrarsi componenti che non si trovano più, vedi la crisi dei microchip di cui la filiera dell’auto ancora risente e su cui c’è da sperare che le scelte dell’Unione europea per una rinascita della produzione nostrana possano dare buoni frutti in tempi ragionevoli. C’è stato da misurarsi con mercati fuori controllo, dove i prezzi delle materie prime sono aumentati non a doppia, ma a tripla cifra. Sul tema, va rimarcata una disparità di lettura fra industrie e artigianato. Le prime ritengono di avere tutto sommato livelli sufficienti di scorte di materie prime.

Al contrario, gli artigiani si sentono fortemente sotto pressione. Una delle spiegazioni potrebbe ricondurre, banalmente, alla maggiore forza delle realtà più grandi e strutturate nel muoversi sui mercati, a differenza delle imprese più piccole: una cooperazione all’interno delle filiere su questo fronte potrebbe essere di beneficio? Tornano alla mente i tentativi fatti anni fa in questo senso per supportare le richieste di finanziamento: qualche risultato era stato raggiunto. Tamponare i problemi lato materie prime è urgente non solo per mantenere operative le filiere produttive ed evadere livelli di ordini che continuano a essere promettenti, ma anche per calmierare il nodo costi. Le industrie hanno archiviato il quarto trimestre subendo rincari del 10,2% rispetto al trimestre precedente, che solo in parte si sono scaricati sui prezzi finali, aumentati del 5,9%.

È chiaro che un’erosione continua dei margini di guadagno non può essere sopportata troppo a lungo, ne va dell’equilibrio e della sostenibilità dell’impresa. Anche per questo c’è da augurarsi che sul tema energia e gas si possa arrivare a soluzioni strutturali capaci di aprire prospettive di lungo periodo molto più dei pur necessari interventi d’urgenza adottati negli ultimi mesi dal governo. Tra costi che salgono e ricavi che non salgono abbastanza, alla fine si rischia sempre che a farne le spese sia il lavoro e non è proprio il caso. Tanto più che i segnali, pure su questo versante, sono positivi con l’industria che ha ripreso ad assumere e ha superato anche in questo caso i livelli precedenti alla pandemia. Teniamoceli stretti, questi risultati, e facciamo in modo che si possa continuare a guardare avanti con fiducia.

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