Indecifrabile
il ruolo di Conte

Il cambiamento di maggioranza è stato tanto rapido, sconvolgente, imprevisto che è diventato il caso del momento. Sembrava fossimo alla vigilia dell’«era salviniana» e ci ritroviamo con il Capitano leghista messo in un angolo da una maggioranza giallo-rossa intenzionata a durare fino al termine naturale della legislatura. Dopo esserci chiesti come tutto ciò sia potuto accadere, è venuto il tempo di chiederci cosa accadrà da oggi in poi. Le variabili in gioco sono molte, troppe perché si possa sperare di delineare, anche con l’inevitabile approssimazione, il futuro che ci attende.

Due in particolare sono le domande da porsi. Passata l’età dell’innocenza, il M5s diventerà anch’esso partito tra i partiti, casta tra la casta? E il Pd saprà riaversi dalla botta di esser convolato a nozze con il partner più improbabile - e più bistrattato - che si potesse immaginare? Molti altri interrogativi si potrebbero formulare, e tutti di peso. Ma forse quello che da solo può riassumerli tutti riguarda Conte.

I margini di enigmaticità del suo ruolo futuro sono tanto ampi quanto inusuale è stato il modo con cui è arrivato a Palazzo Chigi. Non consacrato da nessun battesimo elettorale, non organico a nessun partito, scelto originariamente come semplice garante dell’applicazione notarile di un contratto stipulato da due soci reciprocamente sospettosi l’uno dell’altro, consolidatosi infine nel ruolo di ossequiente esecutore di comandi altrui, con abile mossa si è liberato più o meno di entrambi i suoi due capi bastone. Detto fatto, si è prontamente proposto senza alcun complesso d’inferiorità addirittura come dispensatore delle carte da gioco al tavolo della politica, rivendicando per sè addirittura il potere di scelta dei suoi ministri e dei suoi vice. Un potere che nemmeno i premier designati della Dc avevano mai osato pretendere.

Nell’impegnativa dichiarazione rilasciata all’uscita dallo studio del Capo dello Stato non ha lasciato margini di dubbio su quali siano i suoi propositi. Non sarà «più un esecutore di un contratto altrui, ma aspirante capo di una coalizione». Il progetto è di «costruire un’area politica e un blocco d’interessi tecnico del governo». Quanto al programma, è stato piuttosto nel generico. Ha detto quel poco che serve per non inimicarsi nessuno. Su un unico punto ha segnato un netto scarto dalla precedente maggioranza: in politica estera. Si è espresso a favore dell’europeismo e dell’atlantismo. Si è tenuto invece alla larga dalle tre mine esplosive - immigrazione, giustizia, sicurezza - che, incautamente toccate, avrebbero potuto far saltare la maggioranza prima ancora di nascere.

A dar ascolto alle sue parole, i possibili sbocchi della svolta politica consumata si riducono a due soli. Primo: Conte si comporterà da «politico a contratto», un tecnico che mette a disposizione dei due partner della nuova maggioranza il suo prezioso patrimonio politico di credenziali acquisite in sede internazionale (da Trump a Tusk, a Bill Gates) e di popolarità (al 60%) guadagnatasi in patria. A una condizione: che gli lascino ampia libertà di movimento. Secondo esito possibile: avendo chiuso il forno della Lega, Conte deve servirsi al solo forno giallo-rosso. Questo è per lui un vincolo ma anche un’opportunità. Mal messi come si ritrovano, M5S e Pd non hanno infatti molte altre alternative che affidarsi a chi ha tutti i numeri per tentare di rilanciare le loro aziende. Prospettiva: fondere i due soci di maggioranza in un’unica società per creare un centro-sinistra tutto da inventare. Cosa sarà Conte? Un «politico a contratto», un nuovo Prodi, un nuovo Monti, un nuovo diccì, un nuovo Tsipras che fa traghettare un partito antieuropeista in campione dell’europeismo nell’europeismo, un premier di garanzia o solo l’ultimo dei trasformisti? Presto per dirlo.

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